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Rugby ed emergenza COVID: giocare o non giocare? Per gran parte delle giocatrici la risposta è no!

Giocare o no? Questa è la domanda che da 15 giorni ormai anima il dibattito all'interno di tanti spogliatoi e dei canali social nei quali si parla di rugby, sia maschile che femminile.

La settimana scorsa quando abbiamo deciso di lanciare questo sondaggio la situazione era decisamente meno complicata di quello che è oggi. Il nuovo DPCM, ha limitato ulteriormente in questo periodo la nostra vita ed al momento gli addetti ai lavori del rugby, di quelle "categorie minori" che includono anche la Serie A femminile, stanno ancora aspettando dalla FIR, di sapere quale direzione sarà presa.

Nonostante questo il nostro sondaggio ha avuto un grande riscontro tra giocatrici, allenatori, allenatrici e dirigenti con ben 1288 risposte arrivate e la posizione delle ragazze è stata piuttosto netta: per il 65% delle giocatrici al momento scendere in campo non è una cosa fattibile.

Abbiamo anche toccato la questione sicurezza e per la maggior parte di chi ha risposto, (60%), la sicurezza sul campo è una questione di protocolli che devono essere messi in essere certamente dalla FIR, ma anche dai singoli club. Interessante il fatto che per un buon 20% la sicurezza sul campo dovrebbe essere una questione attinente alle singole giocatrici che dovrebbero essere in grado di autoregolamentarsi con una serie di comportamenti responsabili.

Tra chi sostiene che non sia possibile giocare al momento la maggior parte delle interpellate (34%) è convinta che i protocolli messi in atto dalla FIR non siano sufficienti. L'idea che un test sierologico basti a garantire la negatività delle atlete e che in teoria uno sia sufficiente per coprire l'intera stagione è cosa ritenuta assolutamente inaccettabile. Secondo tante giocatrici dovrebbe essere infatti obbligatorio ripetere il test almeno una volta a settimana, ma i costi così facendo sarebbero ingestibili per la maggior parte delle società, che hanno si ricevuto un contributo FIR, ma che in effetti è stato ben poca cosa, per poter anche solo pensare di affrontare i costi che tale procedura richiederebbe.

Sono tantissime (27%) anche le ragazze che hanno deciso di fermarsi a causa di una situazione lavorativa difficile e di contingenze familiari nelle quali un eventuale contagio potrebbe essere davvero problematico per la salute di genitori più o meno anziani o familiari con patologie pregresse. Continuiamo a ricevere notizie di squadre che sono in grave emorragia di giocatrici e ci giunge notizia di alcune che alla data del 22 novembre non saranno in grado comunque di scendere in campo e saranno costrette a ritirarsi. Ci sono squadre che hanno perso più della metà dell'organico ed anche avendo un numero minimo di atlete disponibili, mancano nei ruoli fondamentali. Si può giocare senza mischia? Decisamente no.

Meno forti, ma non trascurabili (18%), le posizioni di chi sostiene che essendo dilettanti è impossibile portare avanti in questo momento una situazione che richiederebbe le stesse garanzie economiche e strutturali delle squadre "pro". In sostanza continuano a dirci che siamo dilettanti, ma ci dobbiamo comportare (e spendere) come delle professioniste, senza che i club o la FIR possano o vogliano cambiare questo status di cose. 

Così come quelle (16%) di chi continua a considerare il rugby un semplice divertimento e per questo, in questo momento, davanti a cose più urgenti ed una situazione che continua a peggiorare sia necessario fermarsi.


 

Ci sono però anche giocatrici che nonostante tutto continuano a pensare che sia utile o addirittura necessario riprendere a giocare e parliamo di un buon 34% tra le interpellate.

Le motivazioni sono varie e tutte condivisibili. Tante tra quelle che vogliono giocare sono piuttosto critiche sul fatto che il contagio avvenga praticando sport in maniera più elevata rispetto ad altre attività. Tra quelle che vogliono giocare questa è la posizione di maggioranza (42%).

Un buon 21% ritiene sufficienti gli attuali protocolli di sicurezza della FIR, mentre il 16% delle ragazze è disposta a mettere la passione per il rugby davanti a tutto il resto. Curiosamente questa è la stessa percentuale delle giocatrici che non sono disposte a farlo considerando il rugby un semplice divertimento. Anche su questo in futuro si dovrebbe/potrebbe aprire una riflessione approfondita, ma allora saremo tornati a parlare di crescita e qualità e non di emergenza e saremo tutti molto più sollevati.

Infine c'è una percentuale forse non grandissima (9%), ma significativa, di ragazze che teme che questa situazione possa determinare la cessazione del progetto femminile all'interno della loro società. Del resto lo sappiamo che è prassi consolidata quella di tagliare sulle ragazze nei momenti di difficoltà.

Vi abbiamo riportato i dati, in maniera acritica, in fondo non sta a noi giudicare, anche se non è un mistero che siamo piuttosto cauti e che al momento ci pare molto difficile poter portare avanti un campionato dilettantistico (perché questo siamo) in una situazione di emergenza che peggiora costantemente.

Speriamo di aver dato un quadro utile della situazione e fornito uno spunto di riflessione, magari aiutando qualcuno a prendere delle decisioni, che pur difficilissime da assumere non si possono più procrastinare.



 

 

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