Le vide come per la prima volta.
Vide il tempo che vi era passato attraverso, come quel pallone ovale che non era riuscita ad afferrare. Ancora un minuto e lei si guardò di nuovo le mani.Immaginò i suoi occhi di bambina oggi un po’ più stanchi.
Occhi che cercavano il sapore di una vita fatta di zuffe e corse disordinate, che avevano affrontato centinaia di altri occhi.
Occhi che avevano visto e fatto finta di non vedere, che avevano compreso e scambiato incoraggiamenti.
Occhi che cercavano il sapore di una vita fatta di zuffe e corse disordinate, che avevano affrontato centinaia di altri occhi.
Occhi che avevano visto e fatto finta di non vedere, che avevano compreso e scambiato incoraggiamenti.
Occhi che avevano riso fino alle lacrime e pianto in silenzio quando un’onda bianca aveva infranto sogni costruiti col sudore.
Occhi che si erano chiusi infinite volte e sempre riaperti con nuova energia, come vedessero quel mondo ovale per la prima volta.
Ancora un minuto, ancora guardare… Avanti.
Improvvisamente vide di fronte a sé un’altra vita, uguale alla propria eppure così diversa, speculare, nelle sue inesauribili possibilità. E allora immaginò gli infiniti mondi, che si celavano così lontani dal suo.
Solo allora cominciò a capire, tutte le esistenze che avrebbe potuto vivere, se solo fosse stata dall'altra parte. Ma poi si guardò intorno ancora e vide gli occhi di sei compagne che la fissavano e sembravano sorriderle, fasciate in quelle strane maglie rosse e blu, sempre troppo grandi per quelle forme che pur ammaccate e sporche di fango restavano armoniche e ideali. Sguardi che parevano incoraggiarla.
E allora decise che valeva la pena di restare li. Continuare a correre, a provare, a cadere e rialzarsi ancora inseguendo uno strano pallone beffardo, capriccioso come il più sfuggente degli uomini. E decise di scoprire cosa c’era dopo. Un attimo prima che l’avversaria le cadesse addosso sorrise, pensando che il rosa era un bel colore per l’altra meta del rugby. E ricominciò a sognare.
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