Nell'estate del 2025, l’Italia sportiva ha avuto l'opportunità di celebrare due delle sue nazionali femminili, impegnate in palcoscenici di prestigio internazionale: gli Europei di calcio e la Coppa del Mondo di rugby. Entrambe le competizioni hanno visto protagoniste atlete di talento e passione, ma solo una ha ottenuto la visibilità che meritava. Il divario nella copertura mediatica è stato quasi imbarazzante, evidenziando come la RAI abbia saputo valorizzare il calcio femminile, mentre ha relegato il rugby femminile a un ruolo invisibile.
L’Italia ha partecipato alla Coppa del Mondo di rugby femminile in Inghilterra, un evento storico che vede per la prima volta 16 squadre in gara. Le Azzurre hanno affrontano avversarie come Francia, Sudafrica e Brasile, e tutte le partite sono trasmesse in chiaro su Rai Sport e RaiPlay. Ma se nessuno lo sa, è come se non fosse mai successo.
La RAI, servizio pubblico, ha perso un’occasione d’oro per promuovere il rugby femminile. Nessuna campagna pubblicitaria, nessuno spot in prima serata, nessun approfondimento dedicato nei programmi sportivi generalisti, nessuna menzione nei telegiornali, nei quali si è parlato addirittura del surf e del kite. Le partite sono relegate al canale 58 del telecomando, lontano dai riflettori, e senza alcuna narrazione che potesse coinvolgere nuovi spettatori o ispirare giovani ragazze a scendere in campo.
⚽ Il confronto impietoso con il calcio femminile
Per gli Europei di calcio femminile, la RAI ha fatto le cose in grande: tutte le partite trasmesse in diretta, pre e post-partita con interviste e commenti, Rai 1 dedicato alle Azzurre, una squadra di talent tutta al femminile e persino un docu-film in prima serata. Il calcio femminile è stato trattato con rispetto, visibilità e ambizione.
Il rugby femminile, invece, resta confinato in una nicchia. Eppure, le ragazze della Nazionale meritano lo stesso entusiasmo, la stessa copertura, lo stesso investimento emotivo e mediatico. Perché lo sport è sport, e il talento non ha genere o forma di una palla.
📣 Serve una svolta
Se vogliamo che il rugby femminile cresca, servono più di semplici trasmissioni tecniche. Serve storytelling, serve coinvolgimento, serve cultura sportiva. La RAI ha il potere di cambiare la percezione dello sport femminile in Italia. Ma per farlo, deve volerlo davvero. La disparità non è solo tecnica, ma culturale. Il calcio femminile ha ormai superato la soglia della “novità” e viene trattato come prodotto editoriale. Il rugby femminile, invece, resta confinato in una nicchia, come se non fosse degno di investimento.
La RAI, come servizio pubblico, ha il potere di promuovere lo sport in tutte le sue forme. E non basta trasmettere le partite: serve costruire un racconto, creare curiosità, coinvolgere il pubblico. Serve dare alle atlete la stessa dignità mediatica di altri sport.
🚀 Cosa si sarebbe potuto fare?
Per promuovere al meglio il gioco, raccontare questo evento e poter aiutare la crescita del rugby femminile in Italia, si sarebbero potute fare tante cose:
- Spot promozionali nei giorni precedenti all’inizio del torneo;
- Brevi interventi durante la pagina sportiva dei TG;
- Ospitate delle giocatrici nei programmi generalisti;
- Mini-documentari sulle storie delle Azzurre;
- Campagne social con contenuti emozionali e informativi;
💬 Il rugby femminile in Italia merita di più
La Coppa del Mondo di rugby femminile è stata un’occasione sprecata. Non per le atlete, che hanno dato tutto sul campo. Ma per chi avrebbe potuto raccontarle, celebrarle, farle conoscere. La RAI ha dimostrato di saperlo fare con il calcio femminile. Ora deve dimostrare di volerlo fare anche con il rugby. Perché lo sport è cultura, è identità, è futuro. E il futuro non può essere raccontato a metà.
💬 Un problema di narrazione e di cultura
La narrazione sportiva femminile in Italia si concentra prevalentemente su pallavolo e calcio per una combinazione di fattori storici, mediatici, culturali e commerciali.
📈 Successo sportivo e risultati internazionali
- Pallavolo femminile: L’Italia ha una tradizione vincente, con titoli mondiali (2002, 2018, 2025), europei e medaglie olimpiche. Club come Imoco Conegliano e Igor Novara dominano anche in Europa.
- Calcio femminile: Negli ultimi anni, la Nazionale ha raggiunto traguardi importanti (quarti al Mondiale 2019, semifinali agli Europei 2025), e la Serie A femminile è diventata professionistica, attirando sponsor e talenti.
I risultati generano visibilità. Le vittorie creano eroine, e le eroine attirano pubblico.
📺 Copertura mediatica e investimento RAI
La RAI ha investito molto nel calcio femminile, trasmettendo gli Europei 2025 su Rai 1 con approfondimenti, spot e storytelling emozionale.
La pallavolo gode di una narrazione consolidata, con partite in prima serata, telecronisti esperti e un pubblico fidelizzato. Rugby, basket, atletica e altri sport femminili ricevono meno spazio, spesso relegati a Rai Sport o RaiPlay, senza promozione né contesto narrativo.
👉 Immaginario collettivo e cultura sportiva
Il calcio e la pallavolo sono percepiti come “sport popolari”, praticati nelle scuole e nei centri sportivi da centinaia di ragazze. Il rugby femminile, pur in crescita, è ancora visto come “di nicchia” o “troppo fisico”, e il basket femminile soffre la concorrenza del maschile, molto più seguito. La cultura sportiva italiana è ancora sbilanciata: lo sport femminile viene valorizzato solo se già “mainstream”.
💰 Sponsor e ritorno economico
Dove c’è visibilità, arrivano gli sponsor. E dove ci sono sponsor, si investe in comunicazione. Il calcio femminile ha attirato brand importanti (TIM, Puma, Eni), e la pallavolo ha una struttura solida con sponsor storici e palazzetti pieni. Gli sport meno seguiti faticano a generare ritorni economici, e quindi restano fuori dai radar mediatici.
🗣️ Mancanza di storytelling negli sport minori
Le storie delle rugbiste, delle cestiste, delle schermitrici sono spesso straordinarie, ma non vengono raccontate. Senza narrazione, non c’è empatia. E senza empatia, non c’è pubblico. La RAI e i media sportivi dovrebbero investire in contenuti editoriali, documentari, ospitate, podcast e social storytelling per dare voce a tutte le atlete di tutti gli sport.
🚀 Conclusione: serve un cambio di paradigma
La centralità di calcio e pallavolo nella narrazione sportiva femminile italiana è il frutto di un circolo virtuoso... o vizioso. Perché gli altri sport possano emergere, serve visione, coraggio e investimento. Non basta trasmettere le partite: bisogna raccontarle, celebrarle, rendere il rugby parte dell’identità sportiva del Paese.
La Coppa del Mondo di rugby femminile 2025 non è stata un’occasione sprecata sul piano sportivo. Le atlete italiane hanno onorato la maglia, affrontando con coraggio e determinazione avversarie di altissimo livello. Hanno lottato, sofferto, gioito. Hanno incarnato i valori più autentici del rugby: sacrificio, solidarietà, rispetto. Ma tutto questo è rimasto confinato al campo. Nessuno ha raccontato le loro gesta. Nessuno ha celebrato il loro impegno. Nessuno ha costruito intorno a loro quella narrazione che trasforma lo sport in cultura condivisa.
La responsabilità non è delle giocatrici, né della Federazione, che ha fatto il possibile con i mezzi a disposizione. È del sistema mediatico, che ha scelto di non investire. Non economicamente — le partite sono state trasmesse — ma editorialmente. Perché trasmettere non significa raccontare. Significa limitarsi al minimo, senza costruire contesto, senza creare coinvolgimento, senza dare dignità narrativa a ciò che accade.
Eppure, la RAI ha dimostrato di saperlo fare. Lo ha fatto con il calcio femminile, trasformando gli Europei 2025 in un evento nazionale. Ha mobilitato risorse, creato contenuti, promosso le Azzurre come protagoniste. Ha dimostrato che, quando vuole, sa rendere lo sport femminile visibile, emozionante, popolare. Ma nel caso del rugby, ha scelto di non volerlo.
Questa scelta non è neutra. È una dichiarazione implicita: il rugby femminile non è abbastanza importante da meritare attenzione. Non è abbastanza “vendibile”, abbastanza “mainstream”, abbastanza “femminile” secondo i canoni televisivi. È una scelta che nega alle giovani rugbiste modelli da seguire.
Eppure, lo sport non è solo competizione. È cultura, è identità, è costruzione sociale. Raccontare lo sport significa raccontare chi siamo, chi vogliamo essere, quali valori vogliamo trasmettere. E se il futuro dello sport femminile viene raccontato solo a metà — solo quando è calcio o pallavolo — allora non stiamo costruendo un futuro inclusivo. Stiamo replicando un presente parziale.
Il rugby femminile merita di essere raccontato. Non per gentile concessione, ma per diritto. Perché le sue protagoniste sono parte della storia sportiva italiana. Perché le loro storie parlano a tutti. Perché il futuro dello sport passa anche da loro. E quel futuro, se vogliamo davvero costruirlo, non può essere lasciato in silenzio.
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