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Julio Velasco ed il reclutamento: cosa può imparare il rugby dal volley?

Quando si parla di Julio Velasco, non ci sono certo presentazioni da fare. Tutti conoscono l'uomo che ha rivoluzionato il mondo della pallavolo in Italia e non solo. Velasco oggi si occupa principalmente di coaching, recentemente ha effettuato un intervento sul reclutamento che vale assolutamente la pena leggere, per vedere se è possibile ricavare una strategia utile o dei semplici suggerimenti per provare ad affrontare quello che è il problema più annoso del rugby (femminile) in Italia: come trovare nuovi giocatori e giocatrici.


IL RECLUTAMENTO

a cura di Julio Velasco

"Dobbiamo cambiare una mentalità che pensa solo all’alto livello."

Avete mai sentito dire “quella ragazza non può arrivare da nessuna parte”? Mi chiedo: dove dovrebbe arrivare? In serie A, in B, in Nazionale? E’ più che sufficiente che giochi, che ami la pallavolo. Che questo sport rimanga un bel ricordo della sua adolescenza. Anche se non ha condizioni per arrivare a un buon livello, questo non significa che quella ragazza non sia importante. Per noi TUTTE sono importanti. Anche con un livello di base.

Saranno parte del pubblico, sponsor, politici, madri. Forse una ragazza che “non arriverà” domani sarà un'imprenditrice di successo e sarà più facile che sponsorizzi una squadra (o che almeno, compri le maglie. Proprio così ha cominciato Giuseppe Panini con il prof. Anderlini a Modena). O magari sarà un politico importante o manager della TV. Forse un ragazzo che non arriva sarà uno dei tanti volontari che fanno sì che la pallavolo esista, uno che accompagna una squadra di ragazzi. Questo vale per uomini e donne.

Davvero crediamo che il calcio sia diventato così onnipresente soltanto per la bravura dei manager o per la quantità di soldi gestiti? Non saranno conseguenze, e non cause, del fatto che il calcio è lo sport più praticato da quasi tutti maschi in gioventù? Tutti noi volevamo essere calciatori da bambini, non siamo arrivati… Ma il calcio tutti lo guardiamo, tifiamo, compriamo merchandising per i nostri figli o nipoti. Quando c’è il Campionato del Mondo, ci sentiamo tutti identificati. E’ una questione affettiva. E’ proprio questo, prima di tutto, che noi dobbiamo sviluppare: migliaia di persone che rimangano legate affettivamente alla pallavolo.

Se ci pensiamo bene, in ogni Federazione, in ogni società, in ogni squadra, ci sono una o più persone importanti, talvolta decisive, che hanno giocato “senza arrivare da nessuna parte”.

Il Reclutatore e l’Allenatore

Fare l’allenatore non è un mestiere facile, come non lo è fare l’insegnante.

  • Non basta la conoscenza: è imprescindibile saperla trasmettere.
  • Non è importante quanto sa l’allenatore, ma quanto arrivano a sapere i suoi giocatori.
  • Non è importante quello che l’allenatore dice, bensì quello che arriva ai giocatori.
  • Non è sufficiente sapere com’è il gioco (anche se è imprescindibile), ma bisogna conoscerlo, dominare la tecnica e la tattica e avere una metodologia per poterle insegnare.

I giovani allenatori sono consapevoli, di solito, sia delle difficoltà cui vanno incontro sia delle competenze di cui hanno bisogno. Lo sono anche gli allenatori esperti e in particolare quelli che si occupano dei diversi corsi per allenatori. La maggior parte dei contenuti dei corsi riguarda questi temi.

Tuttavia gli allenatori del Settore Giovanile, soprattutto quelli degli U13 e U15 ma anche quelli degli U17 e U19, dovrebbero avere anche la capacità di trovare bambini e ragazzi per la pallavolo. Non è sufficiente saperli allenare, dobbiamo essere capaci di avvicinarli alla pallavolo, farli innamorare del nostro sport, far sì che si sentano a loro agio nel gruppo, stimolare il loro entusiasmo per imparare, per condividere, per vivere la straordinaria esperienza di far parte di una squadra. Non dobbiamo aspettare che arrivino, bensì cercarli, trovarli e convincerli a iniziare a giocare.

Di questo tema noi, i professori dei corsi, ci siamo occupati poco. Saper reclutare ragazzi per le squadre del Settore Giovanile è di pari importanza che saper allenare. In certi casi addirittura di più. Ho lavorato in due club di serie A in Argentina allenando le squadre di Minivolley per quattro anni. Il reclutamento era decisivo e la competizione con il mio collega del basket era durissima: entrambi volevamo i più bravi e i più alti. C’erano anche la pallamano e il tennis. E certamente a quell’età tutti giocavano a calcio. Quando qualche anno più tardi diventai l’allenatore della prima squadra, continuai ad occuparmi del Settore Giovanile come Direttore Tecnico. Mi trovai a dover scegliere il mio sostituto per il minivolley e l’Under 14 tra due allenatori: entrambi erano bravi, ma uno lo era di più dal punto di vista tecnico, mentre l’altro era più bravo a reclutare i ragazzi, aveva più empatia, li convinceva, ci sapeva fare. Ci pensai a lungo e alla fine decisi per quello più bravo nel reclutamento. Trovare ragazzi di quell’età per la pallavolo è stato sempre difficile, quindi era fondamentale che nelle squadre dei più piccoli ci fosse un allenatore che sapesse trovarli e convincere.

Sento spesso dire che in passato la situazione era migliore. Se la memoria non mi tradisce, non mi risulta. Oggi la situazione è alquanto migliorata rispetto agli anni ’80 e ’90. C’è una grande quantità di tornei per club (e squadre che vi partecipano) che anni fa non esistevano. Ci sono molte più società che hanno il settore giovanile. C’è stata una crescita di tesserati/e in alcuni comitati provinciali. La pallavolo oggi è conosciuta: la RAI trasmette due volte alla settimana la SuperLega e la Serie A2; le competizioni internazionali di club come la CEV Champions League e la Coppa Cev si vedono in TV; la Nazionale si mantiene sempre al vertice e partecipa a tornei come la VNL, Europei, Mondiali e Olimpiadi con copertura televisiva. Ci sono tre Nazionali giovanili, finali Nazionali di tre categorie e il Trofeo delle Regioni.

Combattiamo i soliti alibi

Spesso si spiega il fatto di non trovare ragazzi per le squadre giovanili con motivazioni di carattere generale: “Sono sempre davanti al PC o al telefonino”, “non sono come eravamo noi”, ecc. Io però mi domando: come hanno fatto i padri fondatori della pallavolo italiana a trovare giocatori, quando la pallavolo non si sapeva nemmeno cosa fosse? Quando non c’era mai in TV. Quando non c’erano sponsor, né internet, né competizioni internazionali? Siamo sicuri che oggi siamo in una posizione svantaggiata? Io credo proprio di no, anzi. Sta a noi amanti della pallavolo utilizzare tutti i mezzi a disposizione per continuare a tesserare sempre più ragazzi.

Ci sono tante esperienze virtuose oggi in Italia: dobbiamo solo aumentarle, propagandare i metodi che hanno usato. La maggior parte si basa sull’attività svolta nelle scuole elementari, alcune nelle scuole medie e altre si basano sul “passaparola”.

Dal Minivolley all’Under 13

Molti bambini partecipano a tornei di Volley S3, Minivolley e 3 contro 3. Tuttavia solo una piccola parte continua a giocare e si tessera. Uno dei compiti più importanti degli allenatori degli U13 e U14 e dei dirigenti del Settore Giovanile è quello di reclutare ibambini in queste manifestazioni. Bisogna parlare con loro e con i genitori, proporre iniziative, prendere il numero di telefono, dare un biglietto di visita, degli opuscoli esplicativi.

Il problema non è nuovo, succedeva con il minivolley e adesso si ripete con il Volley S3: non c’è paragone tra la grande partecipazione in questi giochi e la quantità di bambini che iniziano ad allenarsi e a giocare con l’U13 o U14. Il motivo non è solo che in questi eventi si divertono perché giocano a giochi facilitati, ma anche che si tratta di un appuntamento periodico, “una tantum”, senza l’obbligo di partecipazione regolare, con quello che comporta per i bambini, ma soprattutto per i genitori.

Capita che ci siano allenatori entusiasti e volonterosi che propongono ai genitori tre o addirittura quattro allenamenti alla settimana più la partita. Molte volte i genitori ascoltano con attenzione, non dicono niente, ma pensano: “divento un tassista”. E’ molto meglio cominciare con due allenamenti e, una volta che il bambino si entusiasmerà, sarà lui stesso a chiedere di andare agli altri allenamenti (che dovrebbero essere facoltativi, almeno all’inizio).

Un modo semplice per aumentare il numero di giocatori

Ogni bambino/a deve portare un amico/a a provare. Non importano né l’altezza né le capacità sportive. Dobbiamo portare questi “amici” a vedere una partita o guardarla in TV mentre si mangia qualcosa (un evento sociale). Se invece il livello della squadra è molto buono, chiederemo a ogni giocatore di portare un amico che “gioca bene a calcio o che è alto”.

Certamente non è sufficiente proporlo: deve diventare un compito, un impegno con la squadra. Tutti ci devono riuscire. Noi allenatori dobbiamo aiutare chi non ci riesce. Possiamo poi allargare questa iniziativa agli amici e agli addetti ai lavori: allenatori e dirigenti.

Il calcio non è un nemico

Un modo semplice ed efficace per fare arrivare gli amici è quello di fare 15/20’ di calcetto prima della pallavolo. Un’altra possibilità è organizzare tornei di calcio e pallavolo dove le squadre sommano i punti (due punti per la partita di pallavolo e due per quella di calcio). Ci devono essere dei premi, anche se modesti (andare a vedere una partita, una pizza tutti insieme, delle magliette, ecc.). Con questi tornei è molto più facile “invitare un amico”. Il calcio deve essere un nostro alleato, un amico, un modo di attirare i ragazzi.

La pallavolo maschile e femminile

La pallavolo femminile si è ampiamente sviluppata negli ultimi anni in Italia e nel mondo. In quasi tutte le regioni, il rapporto è di cinque femmine per un maschio. La pallavolo è diventata per le ragazze quello che il calcio è per i maschi. In più le figlie dei giocatori di pallacanestro giocano quasi tutte a pallavolo e le ragazze di comunità d’origine straniera, soprattutto africana, si iscrivono ai corsi di pallavolo. Noi dobbiamo utilizzare le sinergie con il mondo femminile:

  • Organizzare tornei insieme (non misti), con delle piccole feste (tipo terzo tempo del rugby).
  • Chiedere alle ragazze, attraverso il loro allenatore, di portarci ragazzi bravi.
  • Prendere contatto con i loro fratelli e cugini.
  • Organizzare tornei misti dove devono giocare due maschi, non tesserati, trovati dalle stesse ragazze.
  • Chiedere alle società femminili di organizzare corsi di minivolley maschile.

L’età per reclutare e i gruppi chiusi

La maggior parte del reclutamento si fa nelle scuole elementari, orientato quindi a Minivolley o Volley S3 e per l’U13. A questa età, però, la stragrande maggioranza dei maschi sogna ancora di diventare un giocatore di calcio, non pensa ad altro e talvolta rifiuta anche solo di provare un altro sport. Oltretutto, di solito, sono proprio quelli più bravi dal punto di vista motorio che giocano a calcio. E’ importante non proporre una frequenza degli allenamenti che implichi lasciare il calcio. Tuttavia intorno ai 15 anni sono tanti quelli che abbandonano il calcio, in quanto sport tesserato o con allenamenti regolari.

Dobbiamo essere pronti ad accogliere i ragazzi che dai 14 ai 17 anni lasciano il calcio agonistico. Dobbiamo cercarli: nelle scuole medie e superiori, nei campetti di calcio, con il “passaparola”, nei club di tennis, nelle spiagge. Un ragazzo che gioca a calcio o ad altri sport di solito impara molto velocemente. Ci sono tanti casi di giocatori di alto livello nella pallavolo che prima hanno praticato altri sport: Giannelli e Andrea Lucchetta giocavano a tennis, Lanza ha giocato a rugby fino ai 14 anni. Milinkovic (Argentina, Milano) ha giocato a pallacanestro fino a 18 anni! De Cecco anche, fino a 15 anni (con il padre giocatore e allenatore professionista di basket). Giocatori come Mastrangelo, Cisolla, Candellaro, Anzani, Galassi ed altri, giocavano prima a calcio e hanno cominciato a 15/16 anni con la pallavolo.

Non dobbiamo rifiutare un nuovo giocatore perché “già abbiamo la squadra”. La storia dello sport, e della pallavolo in particolare, è piena di sorprese, di giocatori che bruciano le tappe o che non seguono i canali classici: Giba (brasiliano, Campione del Mondo e Oro olimpico) è stato scartato dal Settore Giovanile del suo club in Brasile, Piano non hamai giocato in una Nazionale giovanile italiana, Bernardi faceva il palleggiatore nella stagione 1985/86 e l’anno successivo vinceva, da titolare, uno scudetto come schiacciatore.

Nel basket, Michael Jordan è stato scartato dalla squadra della scuola superiore, Ginobili è stato scartato dalle nazionali Giovanili fino alla Juniores. Teniamo presente che la stragrande maggioranza dei giocatori di primo livello internazionale (escludendo i figli di giocatori) hanno cominciato a giocare a 15/16 anni.

Dei 12 Campioni del Mondo del 1990 a Rio di Janeiro solo Andrea Giani aveva cominciato a 14 anni, gli altri a 15 e Zorzi e Lucchetta a 17 anni! Così anche Lisinac (Serbia, Trento) a 18 e Russell (USA, Perugia, Trento e ora Piacenza) a 20. Ci sono tantissimi esempi, questi sono alcuni, magari i più famosi. Nel maschile è possibile, e auspicabile, inserire giocatori di 15/16 e anche 17/18 anni in gruppi che hanno cominciato con il minivolley o in U14. Talvolta non sono presi in considerazione per la difficoltà di inserimento.

Nel Settore Giovanile non dobbiamo usare le espressioni “questo ragazzo è più avanti” o “questo è più indietro”, ma “questo ragazzo può essere più bravo, anche se è più indietro”.

Per facilitare il compito di inserire giocatori nuovi in gruppi già consolidati, abbiamo proposto un fuori quota per gli U15 e gli U17, sempre che sia il primo tesseramento nella stagione in corso e con un anno d’età di differenza.

Per integrare un nuovo giocatore è anche necessario:

  • Utilizzare l’estate, o almeno gli ultimi giorni prima dell’inizio dell’attività, per fare allenamenti individuali all’aperto con il nuovo arrivato.
  • Durante la settimana dedicare il tempo del riscaldamento per insegnare le tecniche di base e, dove sia possibile, farlo 15/20 minuti prima solo con lui.
  • Rimanere anche 5 minuti dopo l’allenamento solo con lui, in un angolo della palestra, chiedendo magari all’allenatore che lavora dopo questa cortesia.
  • Utilizzare molto le immagini delle Tecniche di Gioco prese da internet e delle partite, insegnandogli ad analizzarle e a capire il gioco.
  • Portarlo a vedere partite dal vivo.

Il “passaparola”

Il “passaparola” è un metodo informale e non strutturato, ma che bisogna organizzare con alcuni criteri. Fare una lista di persone che ci possono aiutare a organizzare attività con le scuole o che ci possono segnalare direttamente dei ragazzi bravi per lo sport:

  • Lista di professori di educazione fisica amici della pallavolo. Dobbiamo parlare con ex allenatori, giocatori, arbitri e dirigenti.
  • Lista di professori di educazione fisica amici personali, di famiglia, amici di amici o di genitori di ragazze che giocano pallavolo.
  • Lista di Presidi di scuola conoscenti di dirigenti, allenatori, sponsor, genitori di giocatrici.
  • Lista di giocatrici che hanno fratelli (anche se nel momento giocano a calcio o ad altri sport). Bisogna portarli a vedere una partita di serie A o della Nazionale maschile, perché capiscano che la pallavolo non è solo lo sport della sorella.
  • Lista di ex giocatori.
  • Lista di ex allenatori, arbitri e dirigenti.

Semplificare invece di complicare

La didattica ci insegna che vanno rispettate le quattro regole della progressione: 

  1. dalle cose facili a quelle più difficili;
  2. dalle cose semplici a quelle complesse;
  3. dalle cose conosciute a quelle sconosciute;
  4. da poche cose a molte cose. 
Nella storia della programmazione della pallavolo per il Settore Giovanile spesso non le abbiamo rispettate. In funzione di arrivare più lontano proponevamo, e ancora lo facciamo, cose più difficili ai bambini e ai giovani che ai giocatori di serie A. Sia a livello tecnico, nel modo di giocare, che nella severità dell’arbitraggio. Infatti, si pretende che non ci sia specializzazione quando sono giovani, mentre la pallavolo che vedono giocare è super specializzata (è indiscutibile che sia più facile giocare se devo fare meno cose piuttosto che se ne devo fare molte). Così come gli arbitri fischiano spesso di più i falli, perché “così imparano la tecnica”. 

La stessa cosa succede con il Libero. Certamente è più facile la Ricezione con il Libero che senza. La preoccupazione non è che la pallavolo sia più facile da giocare in modo che piaccia di più ai ragazzi, la preoccupazione è sempre “il futuro”. La nostra preoccupazione principale deve essere che la pallavolo sia più facile da giocare. Per giocare intendo che si facciano i tre tocchi nel Cambio Palla (Ricezione, Alzata e Schiacciata) e che qualche volta si riesca a difendere e ad alzare per contrattaccare, senza l’incubo del fallo in palleggio.

Nei primi passi la pallavolo è uno sport difficile da giocare. Gli altri sport di squadra, il calcio, la pallacanestro, la pallamano, la pallanuoto, perfino il tennis, sono più facili per chi inizia. I maschi vogliono schiacciare, tirare a canestro o in porta. La facilitazione del gioco c’entra molto con il reclutamento, soprattutto in quelle realtà con meno tradizione e dove ci sono più difficoltà.

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