La crepa nel sogno: la sconfitta azzurra con il Sudafrica alla RWC 2025
York. 31 agosto 2025. Il cielo รจ basso, plumbeo. Sembra quasi voler partecipare al lutto sportivo che si consuma sul prato del LNER Stadium. L’Italia femminile del rugby รจ fuori dai Mondiali. E non รจ solo una sconfitta. ร una di quelle storie che si raccontano sottovoce, con il cuore stretto, come si fa con le grandi epopee tragiche.
Era cominciata con speranza. Con quella luce negli occhi che solo chi ha lottato per anni puรฒ portare sul volto. Le Azzurre, guidate da capitan Elisa Giordano, erano arrivate a York con la consapevolezza di non essere piรน comparse. Dovevano essere protagoniste. E dietro di lei, un gruppo di donne che non si limitano a giocare a rugby: lo vivono, lo respirano, lo soffrono.
C’era Beatrice Rigoni, la mente lucida, geometrie imprevedibili, la giocatrice che sa leggere il tempo come una direttrice d’orchestra. C’era Sara Tounesi, la seconda linea che placca come se ogni contatto fosse una dichiarazione d’amore per la maglia. E poi Vittoria Ostuni Minuzzi, l’estremo che corre come se inseguisse qualcosa che le รจ stato tolto da bambina, e poi tutte le altre.
Il fischio d’inizio รจ appena risuonato, ma per le Azzurre รจ giร tempesta. Neanche due minuti sul cronometro, e il Sudafrica riceve un regalo inaspettato: mischia nei 22 italiani per un in-avanti. Il pack della Rainbow Nation non si fa pregare. L’introduzione รจ pulita, il pallone scivola tra le mani esperte fino ad arrivare ad Aseza Hele che prende palla, affonda gli appoggi e si trasforma in un ariete impazzito. La difesa azzurra prova a contenere, ma รจ troppo presto per essere pronta. La linea viene superata, la meta รจ servita. La trasformazione perรฒ sfuma: il punteggio si ferma sullo 0-5. Il Sudafrica non aspetta. Due minuti, e giร la meta. ร come se il destino volesse subito chiarire che oggi non sarร una festa. Le Springbok Women sono fisiche, veloci, spietate. Ma l’Italia non si piega. Non subito.
“Nel rugby, come nella vita, ci sono momenti in cui il dolore arriva presto. Ma รจ nel modo in cui reagisci che si misura la tua grandezza.”
L’Italia รจ nervosa. Lo si vede negli occhi, nei gesti, nei silenzi. Poi, come un lampo nella notte, Alyssa D’Incร prende palla e corre. Non รจ solo una progressione. ร una liberazione. ร il primo respiro dopo minuti di apnea. Le ragazze di Fabio Roselli risalgono il campo. Cercano equilibrio, ordine, una risposta. Ma il rugby, non aspetta. Al decimo minuto, Sara Tounesi si lancia in un placcaggio che รจ piรน di un gesto tecnico: รจ una dichiarazione di guerra. L’impatto รจ devastante. Lei resta a terra. Il pubblico si alza in piedi. Applausi. Lacrime. Viene portata via in barella, ma con un gesto delle mani che rassicura. Dentro Valeria Fedrighi, silenziosa, concentrata. E intanto anche Silvia Turani deve uscire per un controllo concussion. Al suo posto Gaia Maris. Il piano iniziale รจ giร saltato.
La clessidra scorre. E ogni granello di sabbia sembra pesare come piombo. Anche il Sudafrica sbaglia, commette errori tattici, ma le Azzurre non riescono ad approfittarne. Il tema della gara รจ chiaro. L’Italia vuole correre, vuole aprire il gioco, vuole innescare le sue trequarti. Le Springbok Women, invece, vogliono chiudere, soffocare, rallentare. ร uno scontro tra due filosofie opposte. ร una danza nella quale ognuna interpreta la propria coreografia. Il Sudafrica impone, sfonda, travolge. L’Italia schiva, costruisce, cerca l'opportunitร . ร come assistere a un duello antico: da un lato la clava, dall’altro il fioretto. E il campo, oggi, non premia la grazia. E a metร del primo tempo, il Sudafrica colpisce ancora.
Libbie Janse van Rensburg finta il passaggio al largo. La difesa italiana abbocca. Lei entra, crea il break, e serve Nadine Roos. L’estremo prende palla e vola. Meta. Trasformazione. 0-12. A York รจ gelo. Le Azzurre incassano. Ma non si spezzano. Non ancora. Un errore sudafricano in uscita regala una rimessa nei pressi dei 22m. Dalla touche nasce un multifase lungo, faticoso, quasi doloroso. E alla fine, Vittoria Ostuni Minuzzi trova il varco. Corre. Elude. Segna. ร la meta. ร l’urlo. ร l’Italia che dice "siamo ancora qui". Michela Sillarsi calcia, e il palo dice no. 5-12. Silvia Turani rientra in campo, quel terreno che ormai รจ un campo di battaglia.
Al 28’, altra mischia. Il Sudafrica costruisce con precisione chirurgica. Hele, Qawe, Roos: un triangolo perfetto. Ayanda Malinga riceve al largo. Trova l’intervallo. Sfugge. La difesa italiana prova a ripiegare, ma รจ troppo tardi. Meta. 5-17. E lรฌ, in quel momento, si capisce che oggi non sarร una favola.
Inizia il secondo tempo. Francesca Sgorbini, terza linea, รจ una di quelle giocatrici che non fanno rumore. Ma quando serve, c’รจ. Al 47’, un giocata furba, riceve la palla sul lato chiuso e va. Meta. Rigoni trasforma. 17-17. Il sogno รจ di nuovo lรฌ, a portata di mano. Ci sono istanti in cui il tempo si ferma. E in quel silenzio, senti solo il battito del cuore. A York, quel momento รจ arrivato. E sembra dire: "Forse ce la facciamo."
Il rugby, lo sanno tutti quelli che lo hanno vissuto anche solo per un pomeriggio, non รจ uno sport gentile. ร onesto, sรฌ. Ma non รจ mai tenero. E quando decide di essere crudele, lo fa senza esitazioni. A York, la lingua del rugby parla in afrikaans. E i nomi che pronuncia sono due: Yonela Ngxingolo e Sinazo Mcatshulwa. Due fendenti, due colpi netti, due mete che non lasciano spazio al dubbio. L’equilibrio, faticosamente conquistato dalle Azzurre, viene spezzato con precisione chirurgica. Sono nomi che resteranno incisi nella memoria delle italiane. Non come avversarie qualunque, ma come le protagoniste di un momento che ha cambiato tutto.
Si entra nel cuore del secondo tempo. Il cronometro supera il cinquantesimo, e York cambia volto. Il vento si alza, taglia il campo in diagonale, come se volesse spostare gli equilibri. Le panchine si svuotano: รจ il momento della girandola dei cambi. Ma non รจ solo tattica. ร sopravvivenza.
L’Italia รจ stanca. Il Sudafrica lo sa. E lo sfrutta. Le Springbok Women orchestrano una fase offensiva che รจ piรน di una semplice manovra: รจ un assedio. L’Italia viene messa all’angolo, costretta a difendersi con le unghie, con il cuore, con la memoria di ciรฒ che รจ stato. E quando tutto sembra cedere, arriva lei: Beatrice Veronese. Non รจ una placcatrice qualunque. ร una sentinella. Si frappone tra l’avversaria e la meta come se volesse fermare il tempo. E per un istante, ci riesce. Ma รจ solo un avvertimento. Un minuto dopo, il Sudafrica torna. Yonela Ngxingolo prende palla e carica. ร una forza della natura. Le Azzurre provano a contenere, ma non basta. Sotto ai pali, la meta รจ inevitabile. Dolf trasforma. 17-24. Mancano venti minuti. Ma il peso di quel colpo รจ giร definitivo. Non รจ solo un punteggio. ร una crepa. ร il momento in cui il sogno comincia a sgretolarsi. E nessuno puรฒ fermarlo.
Eppure, le Azzurre ancora una volta, non si arrendono. Siamo oltre la soglia dell’ora di gioco. Il campo รจ un mosaico di tensione e incertezza. Le italiane hanno il volto tirato, il gioco รจ spezzato, nervoso. Ma proprio quando il caos sembra prendere il sopravvento, il Sudafrica rallenta. Le Springbok Women abbassano il ritmo, e l’Italia fiuta l’opportunitร .
Alia Bitonci prende in mano il metronomo del match. Il suo ritmo รจ incalzante, preciso, contagioso. Le Azzurre si ricompattano, avanzano con decisione, una carica dopo l’altra, come onde che non smettono di infrangersi. All'improvviso Sara Seye trova il varco, si allunga e lo trasforma in meta. Beatrice Rigoni si presenta per la trasformazione: il calcio รจ pulito, sicuro, e al 69′ il tabellone dice 24-24. Paritร ristabilita. Ma non รจ solo un punteggio: รจ un messaggio. L’Italia รจ viva. E non ha intenzione di mollare. Tutto รจ possibile.
Ultimi dieci minuti sul cronometro. Il margine d’errore si assottiglia, la tensione si taglia con il coltello, il fiato รจ corto. L’Italia prova a restare aggrappata al match, ma ogni tentativo di equilibrio รจ un rischio calcolato, un passo sul filo del rasoio.
Il Sudafrica lo percepisce. Le Springbok Women tornano a premere, fiutano il sangue come predatrici esperte. E' Sinazo Mcatshulwa a farsi largo con un “pick & go” chirurgico, potente, inesorabile. La difesa azzurra si piega, non si spezza, ma non basta: la linea viene valicata. Meta pesantissima. Il tabellone si aggiorna: 24-29. Mancano cinque minuti. Ma il tempo, ora, sembra correre solo per le avversarie.
Poi, il calcio di Van Rensburg. Un rimbalzo beffardo. La palla sfugge. L’Italia non ha piรน tempo. Non ha piรน fiato. Non ha piรน un sogno. E quando l’arbitro fischia la fine, non รจ solo una partita che si chiude. ร un capitolo. ร una storia che si interrompe. E le lacrime non sono solo di dolore. Sono di un amore deluso.
York, 31 agosto. Il fischio finale รจ arrivato. E non c’รจ piรน nulla da dire. Le Azzurre sono ferme, immobili, come se il tempo si fosse spezzato. Non c’รจ abbraccio che tenga, non c’รจ consolazione. Solo il rumore sordo del Sudafrica che festeggia. E il silenzio, quello vero, che avvolge le italiane.
Non รจ una sconfitta che insegna. ร una sconfitta che pesa. Che brucia. Che lascia il vuoto. Perchรฉ non era solo una partita. Era il Mondiale. Era il sogno di un gruppo che ha lottato contro tutto: contro i pronostici, contro le strutture, contro l’indifferenza. E che oggi si ritrova fuori. Senza appello.Ci sono giorni in cui il rugby non perdona. In cui il cuore non basta. In cui il destino decide di voltarsi dall’altra parte. E oggi, a York, รจ uno di quei giorni.
Elisa Giordano, la capitana, guarda il campo come se cercasse una risposta. Ma non c’รจ. Beatrice Rigoni ha gli occhi lucidi, il volto segnato. Vittoria Vecchini stringe i denti, ma dentro รจ un urlo. E Silvia Turani, che ha dato tutto, si accascia sull’erba come se volesse scomparire.
Non sempre c’รจ una morale. Non sempre c’รจ una via d’uscita. A volte, semplicemente, perdi. E perdi tutto. Le Azzurre escono dai Mondiali. E non c’รจ gloria. Non c’รจ epica. Solo la consapevolezza che il sogno รจ finito. E che, forse, nessuno racconterร questa storia. Ma io sรฌ. Perchรฉ anche le sconfitte meritano memoria. E questa, a York, lascia una ferita che resterร aperta a lungo.
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