Di treni, allenatori, rugbiste e motivazioni.
Mi
manca il treno… Sicuramente state pensando che sono impazzito, o
nella migliore delle ipotesi che questo non c'entra nulla con il
rugby. Mi ero ripromesso di non scrivere più su certi argomenti, o
meglio, ho cercato di smettere di guardare le cose dal di fuori per
occuparmi solo dell'aspetto tecnico-tattico del rugby, ma forse certe
riflessioni sono un po' come casa, puoi andare dove vuoi ma finisci
sempre per tornarci.
E'
così oggi, durante una riunione didattica, quando il coordinatore ha
esordito con un “dobbiamo lavorare sulla motivazione degli
studenti. La motivazione deve essere allenata!”. Bang! E' stato
come se mi avesse placcato Lomu, all'improvviso mi sono ritrovato sul
treno, ma non quello che porta a Bologna o Pietrasanta, bensì quello
dei miei pensieri da allenatore (fuori dal campo): un posto dove non
tornavo da tempo.
Motivare
gli studenti, o meglio motivare le giocatrici, più ci penso più mi
rimbalza in testa la famosa frase: “chi controlla i controllori”
nei confronti degli allenatori. All'ultimo corso federale ci hanno
chiesto chi allena gli allenatori, invece io oggi mi chiedo “chi
motiva gli allenatori?”, che oggi più che mai devono entrare
nell’ottica di essere prima di tutto dei buoni motivatori e poi dei
buoni allenatori.
Ma
andiamo con ordine, se vogliamo parlare di motivazione, dovremmo
almeno sapere cos'è. Se utilizziamo la definizione
dell’enciclopedia: “La motivazione è
l’espressione dei motivi che inducono un individuo a una
determinata azione”, partendo
quindi dalla definizione di motivazione, appare evidente che
essa è una componente fondamentale/necessaria per ottenere
determinate azioni e comportamenti da parte di una giocatrice. Mi
chiedo allora se noi che alleniamo le ragazze in giro per i campi di
tutta Italia, con le mille difficoltà che siamo quotidianamente
abituati a fronteggiare, siamo (anche) dei buoni motivatori.
Sono
convinto che la prima cosa fondamentale da capire sia l’ambiente
nel quale lavoriamo e il gruppo che abbiamo a disposizione. E’
inutile pensare di potere utilizzare lo stesso metodo o la stessa
impostazione in contesti diversi (squadre diverse, anni diversi).
Come è inutile ed anacronistico, copiare la stessa metodologia
utilizzata nella propria esperienza “da giocatore/giocatrice”,
perché costruita e adattata ad una società completamente diversa.
Ma
allora da dove devo cominciare per motivare la mia squadra? Il primo
passo da fare è certamente quello di capire come far fare alle
ragazze che si hanno a disposizione le “cose” che si hanno in
testa. Già questo non è per niente semplice, o meglio lo è forse
ad inizio stagione, ma man mano che si devono affrontare i problemi,
le sconfitte, gli infortuni, la cosa si complica. Bisogna essere
pronti a pensare che se l’obiettivo deve rimanere immutato, la
strada da percorre per arrivarci può cambiare e dover essere
adattata anche più volte nel corso di un'intera stagione.
Una
volta individuata la corretta strada, bisogna tener presente un secondo
concetto fondamentale: la motivazione non dura. Durante una partita,
una settimana, un mese, una stagione, ci saranno sempre dei cali di
motivazione che possono essere determinati da situazioni personali e
situazioni di squadra. Per questo ogni bravo allenatore sa che è
importante capire ed adeguare i propri comportamenti in funzione
delle situazioni sopra elencate. Eppure più ci penso più mi pare
una cosa complicata… “Io voglio fare solo l'allenatore!”
(Quante volte ce lo siamo ripetuti?) Ma
visto che ormai ho deciso di riflettere su questa cosa (che poi
ascoltare il perché della necessità di un piano di recupero per la
matematica al biennio sarebbe assai peggiore…) non posso evitare di
chiedermi quali sono i principali sintomi di mancanza di motivazione.
Penso
che innanzitutto sia necessario avere la sensibilità di riconoscere
i comportamenti delle proprie atlete e soprattutto avere l’umiltà
di capire i loro problemi cercando una soluzione e non scaricando la
responsabilità del loro comportamenti esclusivamente su loro stesse.
Facile a dirsi, mentre la vocina che strilla nella nostra testa
continua a ripetere che non è problema che ci riguarda, perchè
l'unico problema importante è come trasmettere la conoscenza del
gioco. Eppure ognuno di noi sa benissimo quanto sbagliata sia un'idea
del genere.
Alla
fine noi siamo allenatori, e alleniamo delle atlete, che prima ancora
di esserlo sono però donne, mamme, studentesse, lavoratrici ed un
altro milione di cose. Se ci dimentichiamo di questo, potremmo anche
rimanere senza giocatrici e se rimaniamo senza atlete, potremmo anche
essere i migliori allenatori del mondo, tecnicamente e tatticamente
preparati, ma non avremo nessuno a cui trasmettere le nostre
conoscenze.
Quando svogliatezza, assenteismo o partecipazione meccanica diventano parte della nostra routine sul campo continuare sulla stessa strada, è solamente una perdita di tempo. E' il momento, temutissimo da ogni allenatore, di farsi delle domande. Bisogna chiedersi perché da parte delle nostre ragazze non c’è più quella ricerca sistematica che porta a fare i salti mortali per non saltare neanche un allenamento, o impegnarsi al massimo nonostante la stanchezza o i problemi più o meno rilevanti del quotidiano. E’ vero che molto dipende dalla volontà stessa dell’atleta, ma noi come allenatori, dobbiamo “plagiare” la volontà a nostro vantaggio e di conseguenza a vantaggio della squadra. Ricordiamoci sempre che un'atleta super motivata, o che ha interesse massimo nel rugby, sarà capace di risolvere tutti i problemi pur di non saltare un allenamento.
Quando svogliatezza, assenteismo o partecipazione meccanica diventano parte della nostra routine sul campo continuare sulla stessa strada, è solamente una perdita di tempo. E' il momento, temutissimo da ogni allenatore, di farsi delle domande. Bisogna chiedersi perché da parte delle nostre ragazze non c’è più quella ricerca sistematica che porta a fare i salti mortali per non saltare neanche un allenamento, o impegnarsi al massimo nonostante la stanchezza o i problemi più o meno rilevanti del quotidiano. E’ vero che molto dipende dalla volontà stessa dell’atleta, ma noi come allenatori, dobbiamo “plagiare” la volontà a nostro vantaggio e di conseguenza a vantaggio della squadra. Ricordiamoci sempre che un'atleta super motivata, o che ha interesse massimo nel rugby, sarà capace di risolvere tutti i problemi pur di non saltare un allenamento.
Quando
un messaggio sul campo non passa, è inutile giustificarsi dicendosi:
“Non ha testa” o “Se non ha voglia cosa ci posso fare?”
Bisogna lavorare sulla voglia, sulla testa e sulla motivazione di
fare le cose delle nostre giocatrici. Ecco, questo è il nostro
compito principale (ed io che volevo fare solo l'allenatore). Come
fare non posso dirlo, ognuno ha suoi metodi e le sue ricette, in
fondo siamo davvero un po' come degli alchimisti, ma è certo che ci
vuole tempo e pazienza… Tanta. Se
la motivazione è la chiave per ottenere dalle tue giocatrici quello
che ti serve, quello di cui hai bisogno sul campo è inutile pensare
a esercizi, sistemi, esercitazioni particolari e strategie se poi chi
le applica non le comprende o non ne è convinto.
Potrei
finirla qui, anche perché tra un po' di parla di filosofia e gioco
forza mi tocca stare attento, ma
dopo
tutte queste belle parole, sull’importanza della
motivazione, su come un allenatore bravo deve essere abile nel
gestire la motivazione delle ragazze che ha a disposizione, non ho
ancora trovato una risposta decente alla domanda, quella
fondamentale, che oggi mi faccio ovvero “chi
motiva l’allenatore?" Può un allenatore solo automotivarsi o ha
bisogno anche lui/lei di un supporto e di gratificazioni (dalle
giocatrici, dalla società, dai risultati?). Si può fare a meno di
queste motivazioni? Ecco…
Io la risposta ce l'avrei anche, ma la tengo per me, non vorrei che
riflettere troppo mi portasse erroneamente a pensare di aver
sbagliato tutto.
Lorenzo Cirri
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