Riforma del rugby femminile in Italia: siamo sicuri di volerla veramente?
Complice
la diffusione del progetto francese di riforma dei campionati e delle
strutture, in questi giorni si parla spesso della necessità di un
cambiamento di marcia anche per il rugby femminile italiano. Si è
tornati a parlare di rugby a 10 (cosa che io faccio fin dal
lontanissimo 2007) come alternativa ad una Coppa Italia che sta
sempre più stretta al movimento, ma anche di investimenti e della
necessità di fare sistema.
Le
domande sono tante, ma ce n'è una in particolare che non si pone
nessuno ed alla quale io invece ritengo sia necessario rispondere
prima di poter prendere in esame qualsiasi cambiamento ed è questa:
“siamo sicuri di volerla veramente questa riforma?” Ecco,
se dovessi rispondere io, personalmente direi “assolutamente si!”
ma se dovessi rispondere a nome del movimento, composto non solo
dalla Federazione, quanto da club, giocatrici, allenatori ed addetti
allora la risposta diventerebbe “probabilmente no!”. Mi spiego.
Siamo
tutti concordi sulla necessità di aumentare il livello tecnico del
campionato, ma come si paventa la possibilità di creare gironi
meritocratici piuttosto che territoriali, da ovunque si leva il coro
delle lamentele. Problema di soldi, perché tutti quanti si aspettano
che sia la Federazione ad elargire a pioggia quello che serve per
fare questo benedetto campionato. Condivisibile, ma non del tutto
giusto.
Una delle cose che si evidenzia in Francia ed Inghilterra è
la capacità di produrre risorse da parte dei club, (motivo principale
per cui, ad esempio, Lichfield semifinalista dello scorso campionato
inglese e squadra con 30 anni di storia non è stata ammessa alla
Tyrrels 15s, nuova lega “Pro”). Capisco che tra Italia, Francia
ed Inghilterra ci siano enormi differenze di bacino e budget, ma
l'arrendersi in partenza o il non volersi sbattere più di tanto,
salvo rare eccezioni, per far crescere il livello mi portano a
pensare che forse non è così vero che vogliamo un cambiamento.
Quanti sono i club che davanti alla scelta tra comprare un giocatore straniero per un campionato di qualunque serie e finanziare la stagione della squadra femminile scelgono o hanno scelto in passato, la prima opzione senza pensarci troppo? Personalmente ne conosco anche troppe di queste realtà .
Non
sto difendendo la Federazione, che le sue mancanze le ha eccome e le
conosciamo tutti benissimo, trovo semplicemente riduttivo e
semplicistico riversarle addosso tutte le colpe, senza prendersi
ciascuno la propria parte di responsabilità .
Se
parliamo poi di fare sistema l'attitudine italica alla difesa
dell'orticello diventa ostacolo insuperabile. L'idea di un sistema
piramidale come quello francese qui non funzionerebbe mai, o meglio
andrebbe prima cambiata l'idea radicata che ognuno può far da se e
meglio (o a scapito) degli altri.
Se parliamo di rugby a 10 l'opposizione principale è che molte delle squadre che disputano la Coppa Italia spesso hanno difficoltà nel mettere in campo anche solo sette giocatrici, quindi sarebbe improponibile poter giocare a 10. Già , perchè l'idea di collaborare con chi ti sta più vicino non viene minimamente presa in considerazione, perchè poi chi ci mette i soldi? Chi allena? Dove giochiamo? Con quale maglia? Tutti problemi reali, ma che non possono essere risolti se non ci si prova nemmeno.
Il sistema del tutoraggio tra squadre a 15s e
squadre a 7 è stata una buona trovata per ovviare al problema dei
numeri, ma che diventa inutile nel momento stesso in cui ognuno mette il proprio interesse davanti a quello del movimento. Girando per i campi di mezza Italia ancora troppo spesso
mi capita di sentir dire che il sistema dei tutoraggi non funziona
perché quello “ruba” le giocatrici a quell'altro o perché la
concomitanza di eventi in calendario sovrappone campionato e tappe di
Coppa Italia e che prima "bisogna" giocare per la propria squadra invece lavorare insieme per mettere radici solide sul territorio. Quante sono le realtà dove in pochi km ci sono tre/quattro squadre di Coppa Italia che non riescono a trovare il modo di far funzionare insieme un progetto a 15s? Ecco finché i presupposti saranno questi è inutile
pensare a parlare di riforme.
L'obiettivo principale di ognuno di noi
dovrebbe essere quello di dare la possibilità alle ragazze di
giocare al massimo livello raggiungibile, non quello di mettere in
campo una squadra con 7 o 15 giocatrici precise perché abbiamo
deciso di avere un settore femminile ed il nostro colore o nome
diventa più importante di quello di un progetto o di un movimento
intero. Certo tutto dovrebbe essere sempre basato sul rispetto
reciproco e sul “do ut des” ma troppo spesso ci si dimentica di
quello che vogliono le ragazze: giocare, divertirsi e crescere e
sappiamo bene che in pochi in questo giochino non si va da nessuna
parte.
Ultimo
ma non meno importante, anzi, è il fatto che in Francia le riforme
siano state volute fortemente dal presidente (e qui lascio chiuso il
vaso di Pandora) ma soprattutto dalle giocatrici. Certo
mi piacerebbe che alle domande che facciamo tutti di tanto in tanto
non venisse sempre risposto in maniera ufficiale ed evasiva, che i
progetti di sviluppo ed i budget dedicati al movimento femminile
fossero pubblici e che le promesse fatte in campagna elettorale
avessero un senso (che ne è stato del progetto di una nazionale
U20?), ma prima di tutto questo sono dell'idea che se vogliamo
evolvere la qualità del movimento femminile in Italia, dobbiamo
cominciare a creare delle atlete e non solo avere delle ragazze che
giocano a rugby perché se per l'80% delle nostre praticanti giocare
a rugby ad un livello decente è troppo impegnativo, allora è
davvero inutile anche pensare di cambiare qualcosa.
Ora
pensateci bene cari presidenti, giocatrici, genitori, dirigenti e allenatori e ditemelo voi se siamo davvero disposti tutti quanti
a collaborare per il bene del movimento femminile in Italia e se la vogliamo veramente una riforma che vada in questa direzione. Io credo
di no, ma spero vivamente di sbagliarmi.
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