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Rugby d'esportazione o sviluppo del campionato? Il rugby femminile italiano di fronte ad un bivio

Qualche giorno fa parlando dei trasferimenti che ogni giorno vengono annunciati in Francia ed Inghilterra, notavo come in Italia fosse tutto assolutamente fermo. Nessuna notizia di squadre che parteciperanno al campionato, nessuna idea delle rose a disposizione.

Qualcosa negli ultimi due giorni si è mosso, Calvisano ha annunciato il ritorno di Sara Seye dopo un anno trascorso in Inghilterra con la maglia di Wasps, ma a far notizia è l’annuncio di ieri del trasferimento dell’azzurra Sara Tounesi da Colorno a Romagnat nel Top16 francese, con un comunicato che lascia intendere che anche altre azzurre siano state contattate da questa ed altre squadre francesi per allestire rose competitive per il nuovo campionato, che mutato nella forma si presenta molto impegnativo ed ha già una data di ripartenza sicura: domenica 6 settembre.


Il mercato dei trasferimenti vede le squadre italiane molto ai margini rispetto alle altre realtà europee ma a ogni sessione c’è una costante: la partenza di qualche giocatrice italiana verso Inghilterra e Francia (e talvolta anche Scozia o Spagna). Pensiamo a Giada Franco che milita nelle Harlequins dallo scorso anno, ma insieme a lei, in tante hanno optato logicamente per un’avventura nei maggiori campionati europei: da Francesca Sberna (Glouceste-Hartpury), a Sara Settembri (Bristol Bears) a Sofia Rolfi (Wasps) in Inghilterra, alle azzurre Claudia Salvadego e Valentina Ruzza (Stade Francaise), Valeria Fedrighi (Stade Toulousain), Melissa Bettoni ed Ilaria Arrighetti (Stade Rennais). Giocatrici di spessore, che hanno reso onore alla nazionale nelle sue varie declinazioni (15, 7s, Beach), che si sono ritagliate spazi di tutto rispetto in piazze importanti vincendo addirittura titoli come Valeria Fedrighi con Saracens nel 2018, ma anche Manuela Furlan, Jessica Busato e Michela Sillari con Aylesford Bulls nel 2017, prima dell’avvento della Premier League in Inghilterra. Tutte giocatrici a cui sta(va) stretto il campionato italiano. In molte sono rientrate in Italia, pensiamo a Sofia Stefan e Lucia Gai o Eleonora Ricci per limitarsi alle azzurre, ma altre sono rimaste fuori e la pattuglia è destinata ad allargarsi.

Non discutiamo se tale scelta sia giusta o sbagliata, quello che però è evidente è che questo flusso, se da un lato arricchisce la nazionale dall’altro indebolisce in maniera consistente il campionato interno, mettendo ulteriormente in crisi i club italiani.
Colorno, che sembrava l’unica alternativa credibile al duopolio Valsugana – Villorba, continua a perdere pezzi ed è chiaro che ad oggi generare interesse per un torneo dove le partite ad alta intensità sono 3 o 4 in una stagione diventa davvero difficile. Si rischia di tornare agli anni in cui il titolo era una questione riservata a Treviso e Mira e gli scontri tra queste due squadre erano gli unici a suscitare un minimo di attenzione al di fuori della cerchia solita di appassionati. Se anche le altre azzurre di cui abbiamo sentito sceglieranno di partire ci apprestiamo a giocare il prossimo Sei Nazioni con una squadra nella quale circa un terzo delle convocate gioca in club non italiani.

E’ evidente al momento che una giocatrice italiana di buon livello appena se ne presenti la possibilità, non ci pensi su due volte a fare le valigie. I motivi sono alquanto intuibili: livello della squadra più alto, ambienti più stimolanti, possibilità di crescita maggiori, trattamenti economici più allettanti. Cosa dovrebbe trattenerle qui, quando il 90% delle partite ha spesso un risultato scontato,  quando giochi in campi mezzi vuoti e senza un minimo di benefit? Perché restare quando hai la possibilità di fare un’esperienza personale e professionale in terre dove il rugby ha tutt’altra risonanza e seguito, dove puoi crescere veramente a livello tecnico e dove le prospettive lavorative  sono nettamente migliori ?

Se così stanno le cose, se dunque le migliori giocatrici italiane vanno all’estero e a giocare nel nostro campionato restano coloro cui questa occasione non si presenta, di fronte ad un fenomeno del genere come si fa a far crescere il campionato italiano? Che senso ha tutto ciò? A maggior ragione se il materiale umano a disposizione non è affatto numeroso. La situazione che si è venuta a creare è incoerente e paradossale. A nostro avviso, due sono le vie percorribili e restare nella totale immobilità è semplicemente avvilente: o si alza drasticamente il livello del campionato cominciando a creare le condizioni per far restare le nostre migliori giocatrici ed i club devono cominciare a darsi da fare in questo senso (certo con il necessario aiuto della Federazione), o, se ciò non è possibile, è inutile continuare a sperare di vedere una crescita qualitativa di tutto il movimento femminile in Italia e conviene fare un passo indietro, accontentandosi di formare giocatrici che poi andranno a giocare altrove e di avere una nazionale vincente a scapito di un campionato noioso e prevedibile.

È amaro dirlo ma è così: delle due l’una. Parlare di progetti, di sviluppo e di crescita, senza nessun tipo di investimento è una contraddizione in termini. Si può essere a favore di una o dell’altra alternativa, ma principalmente vorremmo che una posizione netta venisse presa da club e federazione, che in uno scenario così triste e complicato sarebbe già qualcosa.

1 commento:

  1. Buonasera Lorenzo!
    Innanzitutto ti faccio i complimenti per il lavoro quotidiano che svolgi con ladies rugby club, perché è grazie a l'eros e come te e con il tuo impegno e spirito di fare che si mantiene vivo l'interesse attorno a queste meravigliose ragazze. Ho letto l'ultimo articolo nel blog con molto interesse. Purtroppo anche con dispiacere perché per quanto i club italiani si sforzi o è si sforzeranno di creare qualcosa di serio ed efficiente, verrà sistematicamente distrutto dalla superficialita e dalla rassegnazione dell'alibi nell'affermare che questa è la nostra realtà, gli altri hanno più soldi ecc... Alibi! La realtà è che la maggior parte degli addetti ai lavori che contano non hanno intenzione di creare nulla di concreto partendo da progetti chiari e concreti, tempi certi, comunicazione ed espansione del nostro mondo per sponsor e pubblico. Come facciamo a superare le scuse? Semplice, iniziando a lavorare seriamente, interagendo con la società e le aziende, la federazione stessa se non ci arriva con le sue figura. Ma dobbiamo "FARE", NON DIRE NON SI PUÒ FARE! creare la cultura significa anche questo, ma se mai non iniziamo ci rifugi eremo sempre dietro l'alibi o scaricando la colpa su federazione, i procuratori, allenatori... Un capro espiatorio ci sarà sempre. Ma non si crea cultura così. Perciò siamo destinati ad un rugby d'esportazione, chi rimane è solo per amor di patria lecito e giusto, ma il gap è destinato ad aumentare negli anni. Gli altri corrono già, dobbiamo iniziare ad inseguire. Ma le scarpe le abbiamo? O corriamo in ciabatte?

    Ancora complimenti per il tuo prufoso lavoro e per il tuo encomiabile impegno.
    Uns saluto caloroso e a presto.

    Federico Zizola

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