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Serie A femminile: un movimento a tre velocità

Abbiamo aspettato due anni. Due lunghissimi anni. Il Covid è stato uno tsunami su tutto il movimento figuriamoci per il rugby femminile. Abbiamo fatto fatica, ma siamo di nuovo qui, in campo, il campionato di Serie A femminile è tornato, con i soliti problemi, lo spettacolo messo in campo dalle ragazze e tanto da ricostruire.

Un campionato a tre velocità: quella delle tre big, quella delle altre squadre (che hanno fatto talvolta un miracolo per esserci) e quella federale e per definire velocità quest’ultima ci vuole davvero un po’ di fantasia.

Abbiamo perso un bel po’ di squadre, qualcuna con una storia recente, altre che la storia l’hanno scritta, non vedere al via le Belve Neroverdi o il Monza (scudettata nel 2014) è una ferita che fa sanguinare l’anima. Abbiamo perso tante giocatrici (voci ufficiose attestano la riduzione del numero di giocatrici intorno al 34%), abbiamo perso la competitività del girone Elite, che si è arroccato sulle solite Valsugana, Colorno e Villorba, nelle quali milita la quasi totalità della Azzurre viste in campo durante il torneo di qualificazione mondiale di Parma e forse l’idea inglese di spalmare d’ufficio le nazionali in tutte le squadre del campionato non è così sciocca, ma per farlo, lo sappiamo, bisognerebbe investirci qualcosa in questo benedetto campionato. 

Ma andiamo con ordine e diamo un’occhiata a quello che è successo fin qui, dopo le prime giornate. Inutile negarlo, il titolo se lo giocano Valsugana e Villorba, Colorno, a parer mio e "leggermente" indietro rispetto alle altre due. Come dicevamo tutte o quasi le Azzurre sono concentrare in queste tre squadre ed i punteggi roboanti fanno sensazione fino ad un certo punto. Capitolina si è saggiamente auto-retrocessa nel girone territoriale, impossibilitata a competere per qualità e risorse con le altre, Torino voleva fare la stessa cosa, ma alla fine si è convinta a restare, più per amor di patria che per possibilità di competere. Si è dovuta cercare per mari e per monti una 6a squadra tra le aventi diritto dell’ultimo campionato completato (quello del 2018/19), per mettere insieme il girone che assegnerà il titolo italiano. Alla fine ha accettato il CUS Milano, che ha beneficiato della rinuncia del Monza per rimpinguare la rosa in qualità e quantità e provare a fare la sua parte.

La domanda è se per le Red Panthers, lontanissime dai fasti del passato, CUS Milano e Barriccalla Torino Universitaria, questo campionato sarà divertente, o almeno formativo, perchè è vero che si cresce confrontandosi con i più forti, ma subire oltre 300 punti in tre partite, con eventuali infortuni annessi, non è quello che (almeno da queste parti) può essere considerato un fattore di crescita.

Negli altri gironi le partite sono più o meno equilibrate, anche se la Capitolina nel girone 4 appare al di sopra delle possibilità per le avversarie ed a farne le spese nella 1a giornata è stato il Frascati della neocoach Leila Pennetta, che ha incassato più di 100 punti. La domanda è cosa farà poi la Capitolina se, come presumibile, vincerà a mani basse il girone. Proverà a tornare in Elite, trovandosi di nuovo di fronte ad insuperabili difficoltà tecnico-economico-logistiche o rimarrà nel girone 4 a dare batoste alle altre squadre, impedendo loro di provare a salire? Anche in questo caso crescita non è la parola che ci viene in mente.

E’ evidente che nessuno sforzo importante, tanto meno costoso, è stato compiuto dalla Federazione per promuovere questo campionato. Però questo era e doveva essere l’anno giusto per farlo. Questo era l’anno giusto e andava fatto. Invece zero. Nessun cambiamento, nessun investimento. Siamo sempre all’eterna diatriba tra club e Federazione, due attori che mal si conciliano e spesso mal si sopportano, aspettando inerti che l’altro faccia qualcosa, investa, inventi... Ed inevitabilmente tutto rimane immobile.

La comunità del rugby femminile in Italia ha subito uno scossone fortissimo a causa del Covid, la speranza era che questo campionato potesse diventare il collante della realtà dei territori del nostro rugby locale e invece sono tantissime le realtà che si sono dovute arrendere, senza che sia stato fatto niente per impedirlo. In un momento come questo, sarebbe stato necessario dare la massima visibilità a questo torneo per dare una “speranza”, a tutto il resto del movimento femminile italiano che è fermo e soffre la paura di scomparire. 

Questo pensiero non è stato raccolto, nessuna idea di investimento o di sviluppo è stata messa sul piatto, i club si sonoritrovati al punto di prima, come se il Covid non ci fosse neppure stato e le regole d’emergenza varate a campionato iniziato sono stato poco più che un pannicello caldo per curare una febbre potenzialmente mortale.

E’ chiaro che in una situazione come quella sopra descritta nessun “media” abbia raccolto il testimone per la trasmissione in streaming di qualche partita, o almeno di quelle del Girone Elite attraverso i canali web-social federali, con una comunicazione che lascia spesso a desiderare: club che faticano a scrivere due righe sulle partite delle ragazze, nessun video di azioni o mete, il sito federale che non riporta nemmeno tutti i risultati fino al martedì nel migliore dei casi. Così anche i pochi fedelissimi appassionati rischiano di disamorarsi.

Il campionato è iniziato, siamo tutti felici per questo, ma non viviamo nemmeno con la testa sotto la sabbia e da queste parti per conoscenza diretta o interesse personale, capita spesso di guardare a quello che accade altrove e non può essere più chiaro di così che non funziona più il dilettantismo del nostro movimento femminile. Tutto questo sacrificio merita più rispetto e considerazione, merita un modello nuovo e più forte, merita investimenti che possono e devono essere fatti, dai club e dalla FIR, possibilmente assieme.

Da parte nostra, se vogliamo che il rugby femminile in Italia possa compiere il salto definitivo, l'unica via sostenibile è quella di cominciare a seguire sui campi le nostre ragazze anche quando, invece della maglia azzurra, indossano quella del CUS Milano piuttosto che del Treviso, Romagna o Capitolina che siano. Perché c'è la qualità del gioco, c'è la voglia di divertirsi e divertire, le ragazze ci mettono tutto l'impegno del mondo per garantire uno spettacolo gradevole sul campo e spesso ci riescono.

Ora che la situazione in giro è quella che sappiamo, ora la FIR dice di voler guardare al rugby femminile in Italia con un minimo di attenzione, questo è il momento di costruire su di esso una narrazione o una visibilità anche minima, se non cogliamo l’occasione, questo rimarrà un movimento tenuto insieme solo dal sudore di chi va in campo e dalla passione di chi fa i salti mortali perchè questo sia possibile. Il movimento femminile nel mondo sta prendendo un’altra direzione, non volerla seguire per incapacità, menefreghismo o bieco calcolo sarebbe un errore imperdonabile.

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