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Il rugby ed il paradosso dell'allenatore: perchè lavorare bene rende un coach "a scadenza"

Il rugby è da sempre definito lo sport di situazione per eccellenza, un gioco in evoluzione continua, nel quale la capacità di leggere quello che accade e le sue possibili implicazioni in tempi rapidissimi è fondamentale. Solo chi ci riesce può diventare un giocatore o una giocatrice di alto livello. La stessa cosa vale per un allenatore.

Premesso che i tempi e le persone sono molto cambiati, e di questo ce ne rendiamo conto tutti quanti, oggi fare l’allenatore nel rugby (come in qualsiasi altro sport) e cercare di farlo bene è diventato molto complesso a tutti i livelli. Molto difficile perché i nostri ragazzi e ragazze sono molto diversi rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. E’ cambiato il loro stile di vita, la loro “capacità motoria”, le loro motivazioni, la mentalità della famiglia e del gruppo sociale al quale appartengono. Tutto ciò richiede allenatori non solo appassionati ma molto preparati nella gestione di se stessi, dei ragazzi (prima) e degli atleti (poi), dei dirigenti e spesso, se si lavora con le varie under, anche dei genitori.

Una cosa che ho sempre amato del rugby sono certe brevissime pause, prima di una mischia, un calcio di invio o una touche, che permettono di riflettere sul gioco, sul momento e sulla partita che si sta giocando, per come dovrebbe essere giocata o meno. Quello è il momento di farsi delle domande e avere o trovare rapidamente delle risposte. Oggi sono in uno di questi momenti. La palla è metaforicamente appena finita fuori e c'è da riorganizzare il gioco. C'è da titar fuori una domanda prima di ripartire e la mia è questa: "Perché un (buon) allenatore deve cambiare spesso squadra anche se è dotato di una forte leadership e grandi competenze?"

Questione di cicli, traguardi raggiunti, variabili contingenti, ma anche di quelle stesse competenze che lo rendono un tecnico valido: più un allenatore fa migliorare i giocatori e le giocatrici, più viene considerato un buon allenatore e meno questi hanno bisogno di lui. Insomma, a ‘fregarlo’ sono proprio la leadership e la sua qualità. Una regola che vale in tutti gli sport di squadra, mentre negli sport singoli le dinamiche "possono" essere differenti.
Mi trovo a pensare ai tanti allenatori che conosco nel mondo del rugby, specialmente femminile, qui in Italia, o al caso eclatante di Gary Street che dopo aver vinto la Coppa Del Mondo del 2014 con l'Inghilterra fu "gentilmente" invitato a lasciare dalla RFU, con la complicità di alcune delle giocatrici inglesi più esperte. Eppure ancora oggi (che lavora con l'accademia di Harlequins, nda) viene considerato uno dei migliori allenatori di tutta l'Inghilterra e per ammissione di tante delle sue ex giocatrici, il suo lavoro ha inciso moltissimo  e in maniera assolutamente positiva sulla loro formazione. Pensandoci bene non posso evitare di chiedermi quanto incide la leadership di un allenatore su giocatori e giocatrici, sulle squadre ed in utlimo sulla sua stessa carriera?

È una questione interessante, alla quale risponde una ricerca della Binghamton University di New York, che mi è capitato di leggere qualche giorno fa. Secondo tale ricerca gli allenatori che riescono con successo a coinvolgere un team e a sviluppare le capacità individuali dei giocatori e delle giocatrici, finiscono per renderli indipendenti e vedono messe in discussione le proprie competenze. Ma allora, per un allenatore in un mondo totalmente dilettantistico come quello del rugby in Italia, dove smettere di allenare per un anno può significare non trovare più una squadra per lungo tempo o dover smettere del tutto di stare sul campo, è meglio quindi rendere i giocatori poco o molto dipendenti dal suo lavoro? 

Tra i vari atleti ed atlete presi in considerazione i ricercatori americani hanno valutato anche 250 tra giocatori e giocatrici di rugby universitario, cercando di capire come si sentivano nei confronti dei loro allenatori in momenti diversi nel corso di una stagione. Si sono concentrati sulla capacità di un allenatore di sviluppare una leadership forte e in grado di trascinare i giocatori in alto nelle prestazioni e sulla capacità degli atleti di sviluppare al massimo le loro potenzialità. Lo studio ha portato a scoprire come lo stile di leadership e la qualità di un allenatore influenzi l'autovalutazione degli atleti: “Essere sempre più necessari ai tuoi atleti con il passare del tempo non è un buon segno”, afferma Chou-Yu Tsai, assistente professore di gestione alla School of Management della Binghamton University, “se i tuoi atleti non hanno più bisogno della tua leadership e guida con il passare del tempo, questo dovrebbe essere visto dall'allenatore come un segno positivo nel senso che li ha aiutati nel loro sviluppo”.

Gli allenatori cosiddetti ‘trasformazionali’ sono allenatori che riescono a plasmare i loro giocatori o giocatrici in modi che vanno oltre il semplice sport e li aiutano a sviluppare indipendenza e personalità sportiva, instillando in loro orgoglio e incoraggiandoli a giocare sempre per il bene della squadra, allenatori che riescono a lavorare sulla personalità dei loro giocatori e giocatrici (oltre che sulle competenze tecniche).
Il lavoro di questi allenatori è talmente influente sui giocatori che nella totalità dei casi finisce in pratica per ritorcerglisi contro. Rendere i propri atleti indipendenti fa si che questi nel tempo finiscono per vedere la loro guida come meno importante, (o addirittura invasiva) proprio perché sono loro stessi ad avere elevato le loro capacità grazie al coach. Insomma, più un allenatore ispira un giocatore a raggiungere il suo pieno potenzialemeno l’atleta fa affidamento sul proprio coach. 

Se dal punto di vista della ricerca questo tipo di indipendenza è un segno che un allenatore ha dimostrato buona leadership e grandi competenze, nella realtà spesso questo è un comportamento che finisce per essece dannoso per l'allenatore: in pratica fare bene il proprio lavoro per un coach diventa quasi sempre la certezza di "essere a scadenza". Ecco che quella dell’allenatore diventa una figura attaccabile, vulnerabile. Una figura che non sempre è in grado di decidere da sola il proprio destino. Sapersi districare in questo contesto, capendone le dinamiche, diventa forse la qualità più importante per un allenatore al giorno d’oggi. Ancor più che saper incidere sulla crescita tecnica o tattica di una squadra.

Interessante anche il fatto che, spiegano i ricercatori, gli allenatori con scarse capacità di leadership trasformazionale vedono un aumento delle loro competenze percepite dai loro atleti nel corso di una stagione. Cioè i giocatori (e dato ancora più interessante, le giocatrici), nel tempo, finiscono per fare più affidamento su quegli allenatori che inizialmente ritengono poco entusiasmanti e spesso preferiscono avere un rapporto più lungo nel tempo con allenatori che non li mettono in discussione, nemmeno per elevarne le qualità tecniche.

Meglio quindi sviluppare un rapporto di dipendenza o indipendenza tra allenatore e giocatori? Dipende dai punti di vista, dalle situazioni, dagli obiettivi, ma la ricerca, pubblicata su International Journal of Sports Science & Coaching, spiega che “costruire una valida capacità decisionale nei suoi giocatori e giocatrici è fondamentale per un buon allenatore, ma che quando egli si accorge di esserci riuscito questo probabilmente non è un buon segno per la sua carriera”. Per un allenatore è importante capire il proprio stile di leadership e monitorare il modo in cui interagisce con i giocatori e le giocatrici, analizzare le loro percezioni nei suoi confronti nel corso del tempo, perchè esse cambiano e capire la cosa più difficile di tutte, prima che "gli venga brutalmente sbattuta in faccia", ovvero quando è il momento di andarsene e farlo, andando oltre all'amore per i suoi giocatori/giocatrici, la riconoscenza (quantomai effimera nel mondo dello sport) per i traguardi raggiunti o l'amore per il gioco stesso. Questa però è una cosa davvero molto difficile. Ecco perché, al di là dell'amore per una squadra o per il suo lavoro sul campo un allenatore deve capire che difficilmente potrà rimanenere a lungo in una squadra: insomma lavorare bene alla fine è proprio la cosa che frega l'allenatore.

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