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Finito il mondiale quale futuro per il rugby femminile in Italia ?

Ho voluto aspettare qualche giorno prima di fare le mie considerazioni sul mondiale delle Azzurre e su quello che ci ha lasciato. Le nostre ragazze hanno compiuto un'impresa incredibile, con coraggio, detrminazione e sacrifici personali incredibili hanno lasciato un segno nella storia del rugby. La strada è tracciata, adesso bisogna avere il coraggio di seguirla. Ma andiamo con ordine.

Foto Courtesy Stefano Del Frate
Smaltita (o forse no) la delusione per l'eliminazione delle Azzurre, se ci giriamo indietro e diamo uno sguardo al torneo delle nostre ragazze ci sono tante luci, ma anche qualche piccolissima ombra. Ignorare le criticità del gioco sarebbe il torto più grande da fare alle ragazze, la nostra crescita si misura anche nel fatto che adesso quando parliamo di loro possiamo discutere del gioco e lo possiamo fare serenamente, evidenziandone se serve le problematiche oltre alle grandi cose che l'Italia è in grado di mostrare sul terreno di gioco.

Al termine della partita con Francia, il tecnico azzurro Andrea Di Giandomenico, ha onestamente ammesso che "abbiamo delle difficoltà nell’utilizzo nel piede e nella solidità delle fasi di conquista" e la cosa si è palesata in alcune delle partite giocate dall'Italia in questa mondiale, soprattutto con Canada e Francia, avversarie apparse ancora una spanna sopra alle nostre ragazze, soprattutto sotto il profilo fisico. La riflessione di Di Giandomenico ci offre però uno spunto interessante dal quale partire per provare a fare luce sul futuro prossimo (il WXV) e meno prossimo (RWC 2025) della nostra nazionale e del nostro movimento.

Dalla conclusione del mondiale irlandese del 2017, il nostro movimento ha vissuto sulle montagne russe, passando per la grande prestazione delle Azzurre nel 6 Nazioni 2019 con il 2° posto conquistato a danno della Francia a Padova, all'emergenza Covid che ha falcidiato pesantemente il numero delle tesserate soprattutto nelle fasce dai 14 ai 18 anni con un decremento totale pari la 37% delle tesserate, passando per la creazione della nazionale a 15s U18 fino ai primi contratti "semipro" per le Azzurre in ottica mondiale. Ad un primo sguardo un trend positivo, se si considera anche che dopo tanti anni ed insistenze, la Rai ha deciso di puntare sul mondiale delle Azzurre, trasmettendo in chiaro le partite della nostra nazionale più semifinali e finale (su Rai 2), complice certamente anche l'orario che non presentava particolari problamatiche per il palinsesto.

Sui social il Mondiale si è rivelato un evento molto commentato. Gli account della Nazionale femminile italiana e delle giocatrici in neanche un mese hanno visto crescere il loro seguito e le ragazze hanno più volte ricordato come il sostegno dall'Italia sia stato percepito in maniera molto netta. Anche la stampa sportiva, che di solito non brilla certo per "political correctness", ha dedicato qualche spazio al torneo specie intorno alle partite dell’Italia, ci sono stati diversi articoli che, per quanto spesso goffi, erano animati da buone intenzioni.

C'è però il rovescio della medaglia: è facile tenere alta l’attenzione durante un torneo di queste dimensioni, dove non manca lo spettacolo, ci sono partite di alto livello e grandi storie da raccontare. La prova del fuoco arriva adesso. Spente le luci azzurre sul torneo, dopo l'inizio del campionato di Serie A, sta per partire il primo campionato di Eccellenza femminile e le ragazze torneranno a giocare su campi di provincia, davanti a pochi parenti ed amici, spesso contro avversarie ancora acerbe e impreparate.

Creare senso d’appartenenza è un modo per generare interesse attorno al rugby femminile, ma non può essere l’unico modo per fidelizzare il pubblico. Bisognerebbe costruire dei luoghi in cui il rugby femminile è non solo trasmesso ma anche raccontato e analizzato. In Italia non esiste ancora una rivista o un portale digitale che parla specificatamente di rugby femminile. Io lo faccio su questa piattaforma da ormai 10 anni con grandissima passione, ma sono assolutamente conscio che non è altro che una goccia nel mare e di avere tantissimi limiti dettati dalla mancanza di mezzi. La passione senza mezzi adeguati, da sola, non basta. Tanto per fare un esempio, in questi giorni in Inghilterra è nata la lega che gestisce la Premier 15s mentre da noi non c'è nemmeno una copertura seria e strutturata sul campionato italiano. Questo Mondiale ha dimostrato che per seguire uno sport il pubblico ha bisogno di storie, ma anche di informazioni che non rendano lo spettacolo televisivo del tutto inerte. Senza storie e senza informazioni è impossibile appassionarsi.

Ormai lo dico (rimanendo inascoltato da anni), il prossimo passo da fare è quello di lavorare sul nostro campionato. Va innalzato il livello e per farlo servono investimenti, numeri e qualità e non solo il campo. Se il livello delle giocatrici a volte è basso servirebbe di certo una bella discussione anche sul livello di qualità di tutto il contorno: tecnici, dirigenti e strutture. Il gatto continua a mordersi la coda, con la FIR che spinge perchè le società si diano da fare e le società che senza il supporto economico (ma non solo) della FIR sembrano incapaci di far poco più di quello che fanno e quando accade fanno quello che possono (anche se non sempre) lasciate da sole ad affrontare un compito improbo: far crescere il movimento e renderne solide le basi. Abbiamo costruito un bel tetto con la nazionale maggiore, ma senza un pavimento solido non ci metterà molto a crollare. Il 2007 e la nazionale maschile dovrebbero aver insegnato qualcosa.

Ci sono tante domande alle quali è ormai necessario dare risposta e occorre farlo anche piuttosto rapidamente:

  1. Tolte alcune realtà nella quale ritroviamo concentrate praticamente tutte le giocatrici della nazionale, abbiamo un problema di sviluppo nella qualità del gioco come lo risolviamo?
  2. Dalla nazionale in giù abbiamo grande difficoltà nell'insegnare e nell'allenare utilizzo del pallone con il piede, come lo risolviamo?
  3. Il nostro campionato soprattutto in Serie A, manca di educazione alla fisicità (si perchè il rugby femminile sta crescendo enormemente da quel punto di vista) come alziamo la qualità sotto questo profilo e di conseguenza aumentiamo esplosività delle giocatrici e ritmo di gioco?
  4. Il Covid ha lasciato buchi enormi in tutte le Under, tanto che quasi tutte le squadre son in pratica delle franchigie con le difficoltà economico-logistiche che questo comporta. Visto che si parla sempre di un problema di numeri, cosa si pensa di fare per risolverlo?
  5. Senza una parvenza di struttura che si muova quantomeno verso il semiprofessionismo, come si pensa di rispondere a queste richieste che il gioco ci pone?  
La strada è tracciata, adesso bisogna avere il coraggio di seguirla, o almeno l'onestà di prendere una posizione chiara come fatto in Irlanda e Australia dove è stato chiaramente detto che è il gioco maschile che fa da traino al movimento e che gli investimenti è giusto che vadano lì. Si può fare anche così, basta accettarne poi i risultati (vedi Irlanda ed il caos che ne è conseguito) e sempre per onestà smettere di salire sul carro quando fa comodo.

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