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27 anni da allenatore: alcune lezioni che credo di aver imparato

Sono passati ormai ben 27 anni dal quel settembre del 1996, quando a Sesto Fiorentino mi sono imbattuto in un gruppo di bambini di 10 anni che avevano bisogno di un allenatore. In quel momento, anche se ancora non lo sapevo, mi sono innamorato del coaching. Ci sono quei momenti nella vita in cui qualcosa scatta e senza ombra di dubbio questa è stata una delle cose migliori che mi siano mai capitate.

Nella foto Lorenzo Cirri alla guida de Le Puma Bisenzio nella stagione 2021/22

Essere un allenatore di rugby è stato tremendamente gratificante e incredibilmente frustrante a volte, ma soprattutto mi ha insegnato come diventare una persona e un leader migliore. Senza il coaching non saprei come ispirare le persone a cui serve una motivazione in più, far sognare gli altri più in grande di quanto abbiano mai creduto possibile, insegnare la disciplina a chi ne ha bisogno, far sentire a tutti i giocatore o le giocatrici di appartenere a qualcosa di più grande di loro, imparare dove vincere e come perdere. Fare sport è una grande palestra di vita e l'allenatore è davvero una figura centrale in tutto questo.

Durante il mio viaggio, in 27 anni ho allenato tutto e tutti, bambini, adulti, giocatori e giocatrici dai 6 ai 42 anni. Ho allenato squadre di serie C maschili, squadre di serie B e squadre di serie A femminili, squadre 7s maschili e femminili. Ho allenato una Under 21 di livello nazionale, una prima squadra del club, ho provato l'euforia di essere promosso, di salire su un podio, di una finale di coppa e il dolore della sconfitta e dell'esonero (fortunatamente mai prima della conclusione di un campionato). Sono stato anche consulente di una squadra 7s nazionale. Sono stato di tutto, da capo allenatore ufficiale, capo allenatore non ufficiale, allenatore tecnico delle skills, allenatore dell'attacco, della mischia e dei trequarti, allenatore privato, assistente senza un ruolo definito e consulente. Sono stato licenziato una volta e sono stato dalla parte di chi ha perso molte più volte di quante volte io abbia vinto.

Ho anche viaggiato in Irlanda per prendere il brevetto IRB (oggi World Rugby, che è equiparato da qualche anno a quelli FIR) e li ho avuto la fortuna di trascorrere del tempo con varie squadre professionistiche di rugby come le accademie di Leinster, Ulster e Connacht e durante questo lunghissimo percorso ho avuto la fortuna di incontrare alcuni allenatori davvero fantastici, che hanno influenzato moltissimo il mio stile da allenatore, persone preparatissime provenienti da background diversi e ho imparato così tanto da queste persone, davanti alle innumerevoli birre che abbiamo condiviso. Ho pubblicato più di 1000 post sull'argomento, studiato molto e letto circa 150 libri.

Tutto questo panegirico per dire che è stato un viaggio incredibile, con molti alti e bassi, ma soprattutto è stato un continuo apprendimento da più fonti di quante potessi mai elencare o persino ricordare. Quindi, dopo aver raggiunto il traguardo dei 50 anni, ho pensato che le grandi lezioni che ho imparato sul campo negli ultimi 27 anni potrebbero essere utili a qualcuno, o forse no, mi piace solamente l'idea che chi legge possa vedere il campo come faccio io in questo momento.

1. Hai meno impatto sullo sviluppo delle abilità di un giocatore di quanto pensi.

Quando ho iniziato credevo che i migliori allenatori potessero trasformare qualsiasi giocatore in un atleta eccezionale o trasformare una squadra in una storia tipo "Remember the Titans". Più a lungo allenavo, più mi rendevo conto che i miei piani di coaching follemente ben strutturati e le innumerevoli ore di input non facevano la differenza che speravo.

Questo per alcuni motivi:

  • La quantità di tempo che passi con i tuoi giocatori è minima rispetto al tempo che trascorrono e hanno trascorso da soli ad acquisire le loro abilità motorie, praticando altri sport, guardando le partite degli altri, ecc.
  • La maggior parte degli allenatori si prende cura delle squadre o di un atleta solo per una stagione o due. Questo è un periodo molto limitato quando si tratta della durata complessiva della vita di un atleta. (P.S: più tempo trascorri con una squadra, meno imparano - ad un certo punto lascia che siano allenati da qualcun altro. Doloroso, ma necessario).

  • Nessun allenamento è paragonabile all'esperienza reale di una partita contro un'altra squadra.
  • Variabili come la genetica, i tratti della personalità, il background familiare e il reddito, l'ambiente, la disponibilità di luoghi di allenamento e giocatori aggiuntivi, nonché gli interessi personali, hanno tutti un impatto su quanto e come i giocatori si allenano, imparano e apprezzano il gioco ed il tuo modo di allenare.

Ho provato, molto più spesso di quanto forse io sia disposto ad ammettere, a dimostrare che quanto ho scritto sopra sia sbagliato e ho passato più ore del necessario sul campo con vari giocatori, giocatrici e squadre nel corso degli anni, ma il risultato è stato sempre lo stesso... O forse sono solo un pessimo allenatore).

Tuttavia, ho visto numerosi allenatori, me compreso, provare a raggiungere questo folle obiettivo di creare una squadra eccezionale attraverso la pura volontà (ego?) E innumerevoli ore di pratica forzata anno dopo anno. Per quanto duro possa sembrare, a volte i tuoi giocatori non sono bravi come gli avversari in quel particolare anno e non importa quanto ci provi, le tue tattiche, i tuoi allenamenti e le tue mosse non saranno abbastanza buoni da trasformare la tua squadra in campioni del mondo.

Quindi cosa fai come allenatore se cercare di essere campioni ogni anno non è sempre fattibile per tutti? Abbastanza semplice davvero. Impara ad allenare in base ai giocatori che hai, scopri come tirare fuori il meglio da ciò che possiedono e insegna loro ad imparare ad amare il viaggio piuttosto che la destinazione.

Se finisci per avere un gran risultato in un solo anno, congratulazioni! Ma ricorda che molto probabilmente le abilità dei tuoi giocatori hanno avuto molto più a che fare con i risultati di te e di quello che hai fatto sul campo. Ciò non significa che non sei vitale per questo successo. Lo sei, ma ricorda sempre che vincono le squadre, non gli allenatori.

2. L'ambiente che crei è molto più importante delle tattiche e di complicati piani di gioco

Nei miei primi giorni da allenatore non sapevo quasi nulla di rugby, anche se l'avevo giocato per la maggior parte della mia vita, quindi il mio obiettivo quando ho iniziato era quello di imparare quanto più possibile sulle basi del gioco.

Questo non è raro dato che la maggior parte degli allenatori che ho incontrato nel corso degli anni sono così dannatamente concentrati sulla tattica del gioco, sulle ultime tendenze internazionali – anche se allenano a livello scolastico – e nel trovare i “migliori” esercizi sperando che assicurino alle loro squadre di vincere più partite. Io non ho fatto eccezione.

Quello di cui per anni non sono riuscito a rendermi conto è che anche con tutte le ultime conoscenze del rugby mondiale infilate nella mia testa sono i giocatori che devono eseguire i piani di gioco e risolvere sul campo ciò che gli accede di fronte, indipendentemente da ciò che stai cercando di ottenere con loro. Si tratta di loro, non si tratta di te. Questa è forse la lezione più importante che ho imparato sul campo. Troppo spesso vedo allenatori porsi come fonte di tutta la conoscenza ovale, che cercano di implementare la visione idealistica del gioco e di come "dovrebbe essere giocato", eppure sono i loro giocatori quelli che sono sul campo. Io l'ho spesso dimenticato, ma questo è un errore da matita rossa. 

Ciò che tende ad accadere di conseguenza sono le sessioni di allenamento in cui vengono trascorse innumerevoli ore cercando di perfezionare le strategie degli allenatori in difesa e attacco, spesso contro nessuna opposizione, e i giocatori si rassegnano a essere semplici pedine che cercano di eseguire mosse e scenari immaginari. Questo ciclo si perpetua per tutta la stagione quando i giocatori non rispondono a ciò che sanno o non reagiscono a ciò che hanno di fronte nella partita vera e propria, gli allenatori si sentono frustrati per la mancanza di "ascolto" in corso. Se questo suona familiare, non stai allenando, sei un istruttore dell'esercito.

Invece di ripetere continuamente questo ciclo, mi sono fermato, mi sono confrontato con un sacco di colleghi, ho fatto ulteriori ricerche e ho scoperto che c'era molto di più nel coaching rispetto alle X e alle O magnetiche della mia lavagna tattica. Dopo molti anni di apprendimento, ricerca e miglioramento, ho imparato che creare l'ambiente giusto attorno al miglioramento delle soft skills del giocatore (e delle tue) è dove fai la differenza più grande, e non quello che io come allenatore penso di sapere sul rugby.

Ma cosa sono le soft skills? Possiamo definirle come:

  1. Il processo decisionale (decision making);
  2. Comunicazione;
  3. Automotivazione e disciplina;
  4. Autostima e fiducia in se stessi;
  5. Leadership;
  6. Lavoro di squadra;
  7. Creatività e Sperimentazione;
  8. Risoluzione dei problemi;

Perché le competenze trasversali sono così importanti?

Semplice. Hai a che fare con delle persone, non con automi.

Queste persone, indipendentemente dalla loro età, hanno tutti i tipi di abilità, conoscenza, educazione, modi di pensare e capacità di leadership. Questo pasticcio deve in qualche modo essere addomesticato e trasformato in una squadra funzionante, che vuole giocare insieme, diventare efficace come unità e abbia sete di migliorare continuamente le proprie capacità. Un compito difficilissimo, ma nessuno ti ha mai detto che sarebbe stato facile!

Sfortunatamente, le competenze trasversali, apparentemente, non sono mai una priorità per tanti allenatori. Se vengono alleante, spesso è all'inizio della stagione utilizzando un approccio di team building o con una sessione di mental coach una volta fuori con poca o nessuna comprensione di queste abilità e di come vengono migliorate. Queste sono questioni complesse che sono il vero fulcro del coaching, ma ci concentriamo sulla tattica! Perché?

Credo che ciò accada per alcuni motivi:

  • Le tattiche e le strategie sono molto più facili da capire per gli allenatori, più facili da implementare nella pratica e producono ritorni più rapidi, anche se a breve termine, all'inizio della stagione.
  • La maggior parte dei corsi di coaching si concentrno sulle tattiche del gioco con scarsa attenzione alle soft skills.

  • Le competenze trasversali sono spesso viste come inutili o peggio sono considerate una perdita di tempo prezioso per il coaching.

  • Sono difficili da misurare e non è facilmente identificabile nella partita successiva capire che possano aver fatto la differenza, quindi dov'è la prova che sono utili?
  • Agli allenatori piace il controllo e i genitori o i presidenti si aspettano che gli allenatori abbiano il controllo e ottengano risultati rapidamente. Immagina un allenatore che si concentra prima sulle abilità trasversali ma perde le partite: probabilemente non finirebbe la stagione.

  • Il pensiero tradizionale vede gli allenatori (i leader in generale) come dispensatori di conoscenza e i giocatori come recipienti vuoti (trasmissione verticale della conoscenza).

Pertanto, vedo spesso alcune squadre ottenere risultati all'inizio a causa di condizioni o preparazione superiori, ma avere poi un sacco di problemi più avanti nella stagione. Perché?

  • Gli allenamenti diventano banali e ripetitivi finchè i giocatori non eseguono i piani perfetti degli allenatori nelle partite ("Ecco perché abbiamo perso. Se solo mi ascoltassero di più!")
  • I giocatori non sono sfidati a pensare, imparare o decidere da soli.

  • Lo spirito di squadra finisce nel dimenticatoio man mano che le sconfitte aumentano.

  • La frustrazione degli allenatori guidati dai risultati rimuove l'aspetto divertente del gioco.

Questo l'ho visto spesso. Ci sono stato. Ero quell'allenatore.

Naturalmente, le tattiche e i piani di gioco possono essere la ragione dei tuoi risultati iniziali, ma so che personalmente nei miei 27 anni da allenatore non riesco a pensare a una partita vinta come risultato diretto ed unico del mio intervento di coach. Il processo decisionale individuale e la comprensione del gioco del giocatore, insieme alla leadership sul campo, alla fiducia in se stessi, alla convinzione e all'esecuzione, sono sempre stati la ragione dietro i momenti importanti delle mie squadre, nel bene e nel male.

Sono fermamente convinto che il successo a lungo termine della tua squadra dipenderà sempre dalla tua capacità di creare l'ambiente giusto per loro comprendendo chi sono i tuoi giocatori, le loro esigenze e sfidandoli costantemente a pensare, imparare, sperimentare e guidare. Troppo spesso queste sono le differenze tra le squadre nel lungo periodo, tuttavia devi capire che ci vuole tempo e raggiungere il giusto equilibrio tra soft e hard skills ed è un'abilità che non tutti hanno. Ma cosa serve per creare un ambiente giusto?

  • Permettere e incoraggiare gli errori e la sperimentazione.
  • Creare un'atmosfera ispirata con la quale tutto è reso possibile, se contestualizzato al gioco ed ai giocatori.
  • Rendere ogni giocatore ben accolto e parte della squadra (lezione difficile, soprattutto con i giocatori meno dotati, ma fondamentale da apprendere: "ogni giocatore conta").
  • Mettere il divertimento e l'apprendimento ugualmente al centro di ogni sessione di allenamento, indipendentemente dalla fascia d'età e dal livello della competizione.

  • Metti da parte il tuo ego a favore dello sviluppo del giocatore e della crescita a lungo termine di ogni singolo e della squadra.
  • Vincere non è la ragione principale per giocare a rugby, c'è molto altro. Fai scoprire ai tuoi giocatori cos'è.
  • Sviluppare una mentalità di crescita costante.

  • Sfidare i giocatori a pensare ed essere creativi.

  • Incoraggia le domande piuttosto che l'obbedienza cieca o l'esecuzione meccanica (questo è uno dei motivi per cui ho sempre amato allenare le ragazze, per loro questo è un processo naturale).
  • Amare il viaggio (la stagione) non la destinazione (il risultato finale).

Come allenatore, il tuo maggiore impatto sui tuoi giocatori sarà basato sul tipo di persona che sei per loro (il rispetto va in entrambe le direzioni, giusto?) e sull'ambiente che hai creato, piuttosto che sulle tue strategie intelligenti, discorsi lunghi, esercitazioni e risultati che pensavi fossero importanti. Ho abbastanza esperienze per pensare di sapere quello che dico.

3. Lasciar andare è più potente che prendere il controllo

Questo continua dal punto precedente di concentrarsi sulla creazione dell'ambiente giusto piuttosto che sugli aspetti tattici del gioco ed è stata una delle più grandi lezioni che ho dovuto imparare, ma che ha prodotto un enorme ritorno quando ho realizzato la follia di cercare di essere in totale controllo di tutto quello che accade sul campo.

Finora ho avuto tre fasi distinte nella mia carriera di allenatore:

Novizio - Guidato dall'ego - Illuminismo (allenatore evoluto)

Novizio:

Quando ero un allenatore principiante sapevo molto poco tatticamente del gioco e quindi non ci si aspettava che i giocatori eseguissero le giocate o i piani tattici molto bene, perché io stesso non li conoscevo quasi per nulla. Ciò su cui ho fatto leva, tuttavia, è stato incoraggiare i giocatori a migliorare, mi sono preso cura di loro e mi sono concentrato sulla costruzione della loro autostima piuttosto che sul dover vincere delle partite. Ciò ha portato lo spirito e la fiducia in se stessi delle prime squadre che ho allenato a salire alle stelle. Di conseguenza, i loro risultati durante le stagioni sono migliorati, tuttavia il loro effettivo sviluppo del gioco era in qualche modo bloccato a causa della mia scarsa conoscenza del gioco e del ruolo dell'allenatore. Sapevo molto poco, ma ci siamo divertiti un sacco!

Guidato dall'ego:

Ma essendo ambizioso e con un punto considerevole da dimostrare (ego), ho iniziato a studiare attentamente il gioco e sono diventato davvero competente nella tattica negli anni successivi. Pensavo fermamente che avere il controllo di ogni aspetto del gioco equivalesse a prestazioni migliori e giocatori migliori. L'ho fatto davvero. Quello di cui non mi rendevo conto era che i miei limiti in certe aree e la mia necessità di cercare di avere il controllo dell'ambiente di apprendimento, sia durante le partite che durante gli allenamenti, stavano gravemente ostacolando i giocatori nell'apprendere da soli e quindi rendevano i giocatori meno ambiziosi e meno inclini a provare cose nuove, correre rischi o commettere errori.

Quindi, i miei sforzi per migliorare le abilità dei giocatori in realtà stavano avendo l'effetto contrario. Di conseguenza l'ambiente di squadra ha sofferto molto, i giocatori non sono migliorati come avrebbero dovuto e non si sono spesso divertiti a giocare ogni partita. Vincere portava sollievo. Perdere era peggio della morte. Allora perché ho seguito questa strada?

Tradizionalmente si pensa che gli allenatori abbiano e mantengano il controllo durante gli allenamenti e le partite. Quando parlano, i giocatori ascoltano. Ho semplicemente copiato ciò che avevo vissuto e pensato fosse vero. Più parlavo e li allenavo, più sarebbero migliorati.

Progettando gli allenamenti per concentrarmi sui risultati, ho potuto "controllare" le prestazioni dei giocatori nei giorni delle partite. Spesso vedi gli allenatori lavorare sugli errori delle settimane precedenti per "aggiustare" le loro debolezze per vincere la partita successiva, come se solo ogni momento ogni partita fossero uguali. Credevo che la mia visione per la squadra fosse quella giusta e che i giocatori dovessero solo implementare ciò che era sulla carta per vincere più partite. Non mi fidavo della conoscenza, della visione o del processo decisionale del giocatore e vedevo gli errori come punti deboli che dovevano essere prevenuti.

Gli errori nelle partite perse sono stati visti come gravi errori che avrebbero potuto essere prevenuti se i giocatori avessero ascoltato maggiormente o si fossero concentrati di più durante l'allenamento. Vincere era più importante che imparare. La mia ambizione era di allenare più in alto: più preparato sono, migliore sarà la squadra, più opportunità avrò, giusto? No, totalmente sbagliato.

Illuminismo (allenatore evoluto):

Dopo aver attraversato le due fasi precedenti, senza aver ottenuto ciò che desidravo, sapevo che la risposta si trovava da qualche parte. Sapevo che la beata ignoranza non era la risposta né lo era lo stile militare eccessivamente tattico o il tipo di allenatore che deve vincere a tutti i costi.

Nel tempo, e grazie a molta introspezione, mi sono reso conto che quando lasci andare quel folle bisogno di vincere, avere il controllo e il comando, ti rendi conto che i tuoi giocatori non sono così pessimi come potresti pensare. Le loro attuali incapacità, gli errori e le sconfitte non sono un riflesso di te come allenatore e loro non hanno davvero un disperato bisogno del tuo contributo ogni 5 secondi.

Quando guardi obiettivamente i tuoi giocatori in azione, ti rendi conto che sanno più di quanto pensi, hanno solo bisogno di più tempo e dell'ambiente giusto per affinare la loro comprensione, esecuzione e abilità. Il miglior allenatore nel rugby? Il gioco. Non io.

Non è stato un passaggio facile da fare. Ci sono volute alcune stagioni e sto ancora imparando. Ma ne è valsa la pena. Il risultato?

I miei allenamenti sono diventate talvolta più disordinati con più esercizi, palloni, caos, errori, movimenti e quasi nessuno stando in piedi ad ascoltarmi parlare. Cerco di farli giocare il più possibile e di farli divertire di più, accettando in questo il loro supporto ed il loro contributo. A volte mi è stato detto da altri allenatori che sul campo faccio cose troppo semplici o poco strutturate, ma per me va bene così. Stranamente, non ho mai avuto un giocatore che mi chiedesse più esercitazioni a vuoto, discorsi o esercizi meccanici e ripetitivi. Sebbene io abbia imparato a lasciato andare, in realtà ho più controllo che mai sull'ambiente di apprendimento. L'approccio ai vincoli del gioco e le domande, ogni allenamento diventa un modo per i giocatori di apprendere i diversi aspetti del gioco attraverso i propri sforzi, errori e successi.

La loro leadership e il loro pensiero critico possono svilupparsi attraverso questo approccio ed essere lasciati soli a pensare e gestire se stessi sul campo. I giocatori hanno imparato che hanno un maggiore controllo del loro apprendimento e delle loro decisioni di quanto non fossero abituati in precedenza e lentamente si sono abituati a fare un corretto affidamento sulla mia conoscenza come allenatore, bilanciandola con la loro esperienza nel gioco.

In poche parole, più lascio andare, più velocemente migliorano i giocatori. Più migliorano, migliore diventa l'ambiente di squadra e più i giocatori si divertono. Più si divertono, più giocano l'uno per l'altro e i risultati migliorano di pari passo.

In sintesi quello che ho capito non appena ho lasciato andare:

  • I giocatori non sono mai così pessimi come potrebbero sembrare all'inizio, lascia spazio alla crescita e rimarrai stupito. Credi che abbiano solo bisogno di un forte input da parte tua e si creerà un ciclo negativo che si autoalimenta da cui è difficile allontanarsi.

  • I giocatori non hanno davvero bisogno del tuo contributo ogni 5 secondi. Stai zitto e lascia che imparino dai loro stessi errori.

  • Lasciali giocare di più. Sul serio. Ti ringrazieranno.

  • Chiedi invece di dire. Potrebbero avere una risposta migliore di te. Non sai tutto né devi.

  • Rimuovi il tuo bisogno di vincere e lascia perdere l'ego. Non è necessario controllare tutto. Quando questo svanisce, lo fanno anche le urla e le urla ai giocatori: perché urlare quando stanno imparando? Nessuno urla mentre studi per un esame, quindi perché farlo nello sport? I giocatori vengono sgridati solo quando i risultati sono l'unica metrica che conta.
  • Sii paziente, persone diverse imparano a ritmi diversi. Ci arriveranno, devi solo essere un allenatore creativo e portarli lì più velocemente comprendendoli meglio.

4. Non fare lo stronzo

Sì, è vero, non fare lo stronzo. Quando diventi un allenatore, diventi un leader per i tuoi atleti, indipendentemente dalla loro età. Sei lì per loro, perché senza di loro non saresti un allenatore. Senza di te possono ancora giocare da soli. Troppo spesso gli allenatori si occupano di coaching per ragioni sbagliate.

Li ho visti tutti e sono stato anche qualcuno di loro:

  • Quelli che allenano per aumentare il loro ego.

  • Quelli che allenano per aiutare con la loro autostima.

  • Quelli che allenano per ricreare i loro giorni di gloria vissuti da giocatore.

  • Quelli che allenano per cercare di ottenere ciò che non hanno avuto da giocatori.

  • Quelli che allenano per dimostrare al mondo quanto sono straordinari come persone.

  • Quelli che allenano per far parte di un'organizzazione vincente.

  • Quelli che allenano per essere responsabili di qualcosa/qualcuno.

  • Quelli che allenano perché sono giocatori in pensione e non hanno altre alternative.

  • Quelli che allenano per dare uno scopo alla loro vitao per sfuggire alla loro realtà.

Non sono perfetto. Non lo sono mai stato, non lo sarò mai. Ma quello che so è che negli ultimi 27 anni ho visto il lato brutto del coaching. Ho visto, e sono stato, ciò per cui non aspiro ad essere conosciuto. Ma alla fine desidero essere l'allenatore e la persona che è veramente lì per i giocatori che servo piuttosto che il contrario.

Il coaching, come nell'insegnamento, è spesso un compito disinteressato e ingrato. È difficile e stimolante, ma soprattutto è estremamente gratificante quando viene affrontato con la giusta mentalità e una vera comprensione di dove lo sport si inserisce nel mondo. Trovo che troppo spesso gli allenatori, me compreso, siano intrappolati all'interno di una piccola bolla di loro creazione dove il loro sport, i loro risultati e trofei diventano il centro del loro mondo. Questo non è salutare né fa bene ai giocatori, spesso sono molto più giovani di te e hanno molto più da fare nella loro vita di quello che potresti considerare il gioco più importante della loro vita.

Tieni presente che il tuo impatto può essere di vasta portata e avere conseguenze al di fuori dello sport che alleni. La tua influenza può essere sia positiva che negativa in molte sfere diverse. Hai la capacità di far credere ai giocatori di poter ottenere qualsiasi cosa ovunque e in qualsiasi momento, oppure puoi confermare la loro fragile convinzione di non essere abbastanza buoni per il rugby. Sono stato presente su entrambi i lati della medaglia e il mio compito è assicurarmi di essere sempre dalla parte giusta nel prossimo incarico che avrò sul campo, finchè ne avrò uno.

Quindi, lascia perdere l'ego e non fare lo stronzo. Che tu alleni una U8 o una squadra di professionisti, sei lì per i giocatori. La tua importanza personale non dovrebbe mai essere misurata dai risultati ottenuti dai tuoi giocatori. Hai un lavoro molto più importante della semplice vittoria delle partite. Hai il dovere di ispirare i tuoi giocatori a fare più di quanto abbiano mai pensato possibile e di assicurarti che diventino persone migliori rispetto a quando ti hanno incontrato per la prima volta.

Per concludere:

Ho attraversato molte fasi e cambiamenti da quando ho iniziato a usare il fischietto nel 1996. Sono stato l'allenatore per aiutare i giocatori a credere in se stessi e sono stato l'allenatore che era lì per i miei interessi. Ho avuto un ego ma mi piace pensare di averlo lasciato alle spalle. Ho investito troppo nel mio essere allenatore e nei successi della mia squadra, e ho capito dove lo sport dovrebbe effettivamente inserirsi nella vita. Queste sono lezioni che hanno richiesto molto tempo e un pesante tributo per essere apprese e capite, ma alla fine anche se è stata una corsa infernale, mi divertirò mentre continua.

Grazie a tutte le persone con cui ho condiviso questo viaggio fino ad ora; gli allenatori con cui ho lavorato, i genitori, i giocatori e le giocatrici nonché le persone che mi hanno insegnato disinteressatamente lungo il percorso. Avanti così per altri 25 anni (magari!).

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