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L'incredibile storia di Emily Valentine, la prima rugbista della storia

Forse non sapete, o forse si (e magari non vi interessa nemmeno) che nell’altra vita, quella poco interessante, mi occupo di storia. Ebbene si sono un insegnante e come tutti i prof. sempre sospesi tra l’eterno disamore degli studenti per la propria materia e la passione e determinazione nel perseguire (forse) l’illusione di creare uomini e donne migliori, anche io sono un po’ topo di biblioteca. Amo fare ricerca e naturalmente non mi sono potuto esimere dal provare a fare un bel viaggio all’indietro nel tempo, alla ricerca delle radici profonde del rugby nella sua versione più gentile: il rugby femminile.

La mia personale macchina del tempo oggi ci porta indietro fino al 1884, quando la Portora Royal School di Enniskillen, nella contea di Fermanagh in Irlanda, stava attraversando un periodo difficile. Il numero degli studenti era molto basso ed il signor Steele (l’anziano preside) aveva lasciato la gestione della scuola nelle mani del “Classics master Assistent” William Valentine, che era arrivato in quella scuola solo l’anno precedente. William Valentine ebbe almeno tre figli in età scolare tra cui William, John ed Emily Frances (nata nel 1878), i quali frequentarono insieme la scuola di Enniskillen.

Le memorie di Emily ci raccontano davvero una storia fantastica, quella di un bel pomeriggio del 1887, nel quale i due bambini hanno cominciato a giocare a rugby con alcuni amici. Non sappiamo come ne perchè, ma sappiamo che Emily ad un certo punto si è unita al gioco, segnando addirittura una meta.

La scuola aveva già avuto una squadra di rugby nel 1870, ma con il calare degli alunni la squadra si era rapidamente sciolta. Il tentativo di alcuni studenti di ricostituirla negli anni seguenti non fu mai supportato dalla scuola, che arrivò a negare loro l’accesso al campo da gioco principale. Tuttavia, questo non fermo l’entusiasmo dei giovani rugbisti di Enniskillen che continuarono a praticare il gioco in un campo libero antistante l’edificio scolastico e riuscirono a tornare in campo stabilmente, giocando all’interno della scuola nel 1887, quando si tennero regolarmente ogni sabato partite contro la squadra dello Enniskillen RFC.

I registri scolastici, e le lettere di Emily (che presto divenne la la signora Galwey) spedite alla scuola nel 1951, dimostrano che Emily stessa aveva più volte preso parte alle partite giocate all’interno della scuola. Nelle lettere di Emily ci sono diversi passaggi in cui Emily dichiara di aver giocato come ala: “quando la squadra (maschile) era a corto di un giocatore”. I registri scolastici confermano che, nonostante l’età ed il sesso, Emily partecipò più volte anche a partite giocate fuori da scuola con altre squadre cittadine. Diverse fonti dicono più volte, che l’intera linea di 3/4 fu talvolta interamente composta da membri della famiglia Valentine, tra cui Emily. William Valentine (Senior) sembra aver lasciato la scuola all’incirca nel 1891, quando fu nominato il nuovo preside, così sia William (Junior) che John si trasferirono al Trinity College di Dublino. Emily invece alla fine della scuola si era sposata e, dopo un periodo in India, si stabilì in Inghilterra, con il marito, il maggiore John Galwey. Sua nipote poi si trasferì a Twickenham, dove il marito vive ancora. Sono ancora in vita otto pronipoti di Emily che morì nel 1967.

Vi chiederete perchè ho deciso di raccontarvi la storia di Emily, e forse anche perché questo storia è così importante per il rugby femminile. La risposta è piuttosto semplice. La storia di Emily è notevole perché non ci sono altre fonti per altre eventuali giocatrici di rugby (se ce n’erano) nel diciannovesimo secolo. Sebbene non vi sia niente di certo sembra che alcune squadre di rugby femminile esistessero in Francia, e, forse anche in Nuova Zelanda già a partire dal dal 1890. Non abbiamo però notizie certe di altre giocatrici di rugby femminile fino al 1917, quando sappiamo per certo che a 16 anni, Mary Eley, giocò nella squadra delle Cardiff Ladies (una squadra formata da donne che lavoravano in una fabbrica di birra locale). Nella prima partita della loro storia le Cardiff Ladies vinsero contro le Newport Ladies, 6-0 al Cardiff Arms Park il 16 dicembre 1917. Mary morì nel 2007 all’età di 106 anni, una delle giocatrici più longeve di quest sport.

Nonostante la passione di Emily, ci sono voluti oltre 100 anni affinchè, la Federazione Irlandese riconoscesse il rugby femminile. Riconoscimento arrivato nel 1990 quando per la prima volta si sono formate squadre di rugby femminile in Irlanda. E’ improbabile che Emily o Mary e le loro (sconosciute) compagne di squadra, siano state le uniche, ma il loro percorso ci da un’indicazione piuttosto precisa delle difficoltà che lo sport femminile ha sofferto per arrivare alla propria affermazione. Fino a quel giorno del 1887 le donne erano state spesso costrette a dover giocare in modo anonimo o dietro porte chiuse ed avevano quasi sempre visto i loro tentativi di giocare soffocati o nella migliore delle ipotesi ignorati.

Questa mia ricerca che ha prodotto la storia di Emily nasce dalla scoperta, che fino a 15 anni fa, nessuno aveva tenuto un registro delle partite internazionali di rugby femminile. La storia del rugby femminile (e dello sport femminile in generale) è una storia nascosta con pagine, come quella di Emily e Mary, che sono rimaste per troppo tempo sconosciute. Troppe persone credono ancora oggi che il rugby non sia per le donne. Ancora oggi le rugbiste hanno bisogno di eroine, visto che troppo spesso viene loro detto che sono strane solo perché vogliono giocare. Non c’è da meravigliarsi che le ragazze siano, anche nel nostro paese, così poche a giocare a rugby.

Ora sappiamo, che anche il rugby femminile ha una lunga storia alle spalle, con personaggi di essere raccontati e quello che vogliamo fare è scoprire questa pagina nascosta e dimenticata della storia del nostro gioco. Concludo questo viaggio nella storia del rugby femminile con le parole stesse di Emily, tratte da una delle sue tante lettere inviate alla scuola di Enniskillen:

“Un giorno ho avuto finalmente la possibilità di giocare. Era solo una partita di allenamento a scuola e loro erano a corto di un “uomo”. Avevo circa dieci anni. Pregai loro di farmi giocare, “Oh, va bene. Andiamo allora.” Mi dissero così. In un istante erano andati il cappotto ed il cappello. Per le scarpe non ho avuto problemi, visto che ho sempre indossato stivali da ragazzo, così alla fine era tutto a posto. Conoscevo le regole. Alla fine la mia occasione è arrivata. Ho avuto la palla, sento ancora la pelle umida ed il suo inconfondibile odore. Sotto le dita il ruvido filo dell’allacciatura. L’ho afferrata ed ho corso, cominciando a muovermi ed a schivare guizzante, ero così entusiasta di poter provare a segnare che non ho passato il pallone. Ho potuto vedere il ragazzo che veniva verso di me, l’ho schivato, quasi senza fiato, con il cuore pulsante e le ginocchia tremanti. Ho corso. Sì, un ultimo lungo scatto e poi ho schiacciato il pallone a terra, proprio sulla linea. Sdraiata a terra, per un momento tutto è diventato nero. Solo un attimo e poi mi sono tirata su, dando una veloce sfregata alle ginocchia. Quando siamo arrivati a casa, sporchi e sudati, mio fratello mi ha detto solo “non sei andata affatto male… ma quella palla avresti dovuto passarla!”

E’ così che mi sono imbattuto in un personaggio decisamente affascinante e che in pochissimi conoscono, quella che può essere definita la William Webb Ellis del rugby femminile: Emily Valentine.

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