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Elezioni federali e sviluppo del rugby femminile: Marzio Innocenti risponde a Ladies Rugby Club

Concludiamo il nostro avvicinamento alle prossime elezioni con l'attuale Presidente FIR, Marzio Innocenti, in corsa per un secondo mandato. Anche a lui abbiamo sottoposto le nostre domande, cercando di esplorare il più a fondo possibile quelle che sono le problematiche del nostro movimento e cosa sia necessario fare per svilupparlo al meglio, partendo dalla base fino ad arrivare all'alto livello internazionale.


1. Se confermato presidente FIR come intende sviluppare il movimento femminile in Italia?

Una premessa è necessaria prima di rispondere a questa domanda. Il rugby è unico e la Federazione deve lavorare per tutte le sue componenti nel loro insieme. Nelle mie linee programmatiche per il prossimo quadriennio non c’è un punto esclusivamente dedicato al rugby giocato da bambine, ragazze e donne perché credo fermamente che quando parliamo di sviluppo, di alto livello, di promozione e partecipazione, ecc. dobbiamo sempre tenere presenti sia il genere femminile che quello maschile. È naturale che ogni componente abbia dei bisogni specifici, ma dobbiamo fare un salto culturale e considerare il rugby come un unico sistema capace di rispondere a necessità specifiche delle proprie componenti.

In particolare, il settore femminile deve riuscire ad incrementare i propri numeri diventando maggiormente attraente per le bambine e le ragazze, ma anche per le loro famiglie, con messaggi che sottolineino la normalità del giocare a rugby per tutte e tutti. Dobbiamo diffondere presso i club una cultura che si fondi sulla ricchezza che deriva dalla diversità, capace di accogliere e dare prospettive di gioco alle ragazzine oltre i 12 anni, per non lasciare indietro nessuna, e capace di cogliere le opportunità create anche dalle tante donne che attorno al campo, in ruoli tecnici, organizzativi, dirigenziali, si mettono con generosità a disposizione del movimento. Non escluderei la possibilità, come succede ad esempio in Francia, di introdurre delle premialità e/o delle obbligatorietà per i club che riescono a svolgere attività su tutta la filiera e per entrambi i generi per sviluppare il movimento.

2. Qual è la visione e quali sono i progetti per il settore juniores e per quello seniores? 

In questi anni abbiamo cercato di ampliare le possibilità di gioco per il settore juniores, dando impulso soprattutto ai Comitati regionali affinché organizzassero specifiche attività destinate alle giovani e giovanissime giocatrici. Evidentemente si tratta di una strada che deve non solo essere perseguita anche in futuro, ma potenziata, ripensando anche alle forme di rugby da proporre a chi si avvicina al rugby per la prima volta e a chi invece ha già giocato nelle categorie del settore propaganda.

Continuare a sostenere forme di aggregazione territoriale, anche come tutoraggi e franchigie, è oggi una strategia cui dobbiamo necessariamente ricorrere, a tutti i livelli. Per quanto riguarda il settore seniores, credo che la distinzione tra un campionato élite e un campionato territoriale abbia consentito ai diversi club di trovare una propria collocazione nelle competizioni con soddisfazione dei club stessi, che in alcuni casi hanno schierato due squadre nelle due competizioni. Allo stesso modo la creazione della Coppa Conference ha offerto maggiori occasioni di gioco per chi non è coinvolto nelle attività internazionali, dando quindi maggiori opportunità di crescita e maggior consistenza al movimento nazionale.

Per quanto concerne la Coppa Italia credo che la direzione che dobbiamo perseguire sia quella di affiancare alla tradizionale formula a 7 su campo ridotto anche altre attività con formule di gioco diverso, per incontrare le esigenze sia di chi non se la sente di giocare a tutto campo, sia di chi vuole sperimentare un gioco più simile al Seven e al XV, anche nella prospettiva di un’evoluzione del club che porti verso i campionati nazionali a XV.

Infine, l’idea di centri di formazione che accolgano anche le giocatrici, sulla scia di alcune sperimentazioni con giovani giocatrici e giocatori tutti insieme in campo fatte negli ultimi tre anni che hanno dato ottimi frutti, o l’ipotesi di una struttura come un’accademia femminile sono parte delle progettualità a lungo termine che vorremmo realizzare.

3. Quali sono le risorse umane ed economiche che intende destinare a tali progetti?

Ad oggi la componente femminile non ha, almeno in Italia, grandi capacità di attrazione di risorse, tuttavia, negli ultimi anni le risorse che sono state investite nella nazionale seniores, nelle nazionali U18 e U20, nella formazione di tecniche/tecnici, preparatrici/preparatori e video-analyst da inserire negli staff delle selezioni femminili, ma anche le risorse che a livello territoriale sono state investite nelle attività regionali per ragazze e nei tecnici di sviluppo femminile sono state consistenti. Ancora molto rimane certamente da fare, soprattutto in alcune zone geografiche dove la densità del rugby in generale e in particolare del rugby femminile è tuttora piuttosto debole, perché abbiamo necessità di essere presenti capillarmente e con un focus sul genere femminile su tutto il territorio.

Negli ultimi anni ci sono stati alcuni investimenti nel femminile delle istituzioni, come la Regione Emilia-Romagna, ma dobbiamo necessariamente reperire altre risorse provenienti anche dal privato e dedicate alla componente femminile. Non dobbiamo poi trascurare la partecipazione ai bandi di finanziamento di ambito europeo (e non solo europeo), dopo le prime positive esperienze di questi ultimi anni. Su questo i club, i Comitati regionali e tutta FIR hanno ampi margini di miglioramento. Ciò che però deve essere un mantra nello sviluppo è la sostenibilità del movimento, senza la quale rischiamo di non poter portare avanti alcuna progettualità sul lungo periodo.

4. Come intende lavorare per risolvere il complicatissimo problema del reclutamento nel settore femminile?

Credo che per favorire il reclutamento sia necessario muoversi su due direttrici che si sostengono reciprocamente. A livello centrale l’accordo con il Ministero dell’Istruzione e del Merito costituisce una delle strategie che stiamo cercando di sviluppare per far conoscere il rugby alla più ampia fascia di giovanissime (e giovanissimi) che è possibile attrarre verso il nostro mondo. Una maggior conoscenza può favorire l’approdo al rugby di tante bambine (e bambini), per cui dobbiamo continuare a proporre altre attività promozionali, come ad esempio le Feste del rugby dedicate solo alle ragazze, che si rendono necessarie insieme a una migliore capacità comunicativa che abbia come target il genere femminile e le famiglie. Dobbiamo riuscire a “vendere un prodotto” su cui ancora ci sono troppi pregiudizi, lavorando sulla visibilità e sulla vera identità del rugby giocato da donne.

A livello locale oltre alle attività che i Comitati devono proporre in misura sempre maggiore, mi pare che un grande lavoro debba essere svolto dai club, come prima interfaccia con cui le future giocatrici e le loro famiglie entrano in contatto. Un club aperto, attento alla diversità, capace di accogliere può fare la differenza già nell’approccio, cui dare seguito con spazi dedicati alla componente femminile.

5. Come si può innalzare la qualità del campionato di Serie A Elite femminile?

Anche in questo ambito alcuni correttivi significativi sono stati introdotti, dalla selezione di arbitre e arbitri adeguati a sostenere un gioco di qualità, a una maggior collaborazione con i club del campionato da parte del settore tecnico di FIR. 

La qualità del campionato è innalzabile andando a incidere innanzitutto sulla quotidianità del lavoro che le giocatrici svolgono presso i club, a livello fisico, tecnico, ma anche mentale e sanitario. A ciò si aggiunge un lavoro di formazione per tutte le figure che accompagnano la squadra dal punto di vista tecnico, gestionale, sanitario. Abbiamo necessità di supportare i club perché si organizzino al meglio per gestire gli allenamenti in campo, in palestra, ma anche le situazioni di infortunio, oltre alla gestione del club nel suo complesso. La qualità di un campionato si innalza se si diffonde una cultura dell’allenamento che ogni giorno viene messa in atto da tutte e tutti in ogni contesto in cui si gioca a rugby.

6. Quali sono gli obiettivi futuri per la nazionale femminile a livello tecnico ed economico? Possibile pensare di competere a livello europeo e mondiale senza ulteriori investimenti?

Ad oggi la nazionale seniores femminile è riuscita ad ottenere risultati eccellenti nelle diverse competizioni cui ha preso parte, così come le nazionali U18 e U20 hanno ben figurato nelle rispettive competizioni di categoria.

L’obiettivo minimo per la nazionale seniores è quello di mantenere la posizione attuale del ranking, ma anche di ottenere ottime prestazioni nelle competizioni che vanno dall’ormai prossimo WXV al Sei Nazioni 2025, fino ad arrivare a chiudere il ciclo con la Coppa del Mondo in Inghilterra, competizioni dalle quali ci aspettiamo una conferma del nostro posizionamento nel quadro internazionale.

Al di là della prestazione, vogliamo fortemente darci come obiettivo quello della costruzione di un gruppo sempre più allargato, in cui trovino spazio le giocatrici più giovani e promettenti, con particolare attenzione alle giovani che seguono il percorso di formazione verso l’alto livello e che già in queste prime due stagioni di nazionali juniores hanno messo in luce ottime qualità e potenzialità. Dobbiamo continuare a lavorare e investire soprattutto sulla pathway verso l’alto livello femminile, per consentire lo sviluppo dei talenti e delle giocatrici del futuro e garantire così il ricambio generazionale costante.

Evidentemente tutto ciò comporta degli investimenti che vanno crescendo per poter stare al passo con la rapida evoluzione del rugby internazionale. Da questo punto di vista è chiaro come sia sempre più necessario reperire nuove risorse per investimenti più in linea con il contesto internazionale.

7. Come intende lavorare per sviluppare il settore del Rugby Sevens?

Il Seven rappresenta, a mio avviso, un’ottima forma di gioco che, per sua stessa natura, se giocato soprattutto in età giovanile può dare indubbi vantaggi per lo sviluppo propedeutico di competenze utili anche nel gioco a XV. Per tale ragione credo fermamente che sia opportuno praticarlo in modo alternato rispetto ad altre forme di gioco, proprio nella prospettiva dello sviluppo di abilità specifiche da esercitare anche nella versione a XV.

Per lo sviluppo di un consistente movimento interno credo i tempi siano ancora prematuri, molto deve ancora essere fatto anche sul piano della formazione dei tecnici che sia specifica per il Seven, mentre a livello di competizioni internazionali vorrei trovare sempre maggiore collaborazione, anche in chiave Olimpica, con il CONI e con le Fiamme Azzurre, che hanno da poco messo a bando alcuni posti per atlete dedicate al Seven, che saranno dunque messe nelle migliori condizioni per allenarsi e giocare con un focus sul gioco a Sette.

8. Il movimento femminile si sta strutturando a livello europeo: nel 2025 si giocherà la prima Champions Cup, Galles, Irlanda, e Scozia hanno trasformato la Celtic Challenge in un vero campionato per franchigie. Come si intende lavorare sul progetto delle franchigie e inserirle in maniera strutturale nel sistema italiano?

L’esperienza della competizione tra franchigie italiane e spagnole del 2024 è frutto di una prima sperimentazione fortemente voluta da World Rugby e dalle due Federazioni coinvolte, esperienza di successo, tanto che World Rugby ha deciso di ripeterla, aumentando il numero delle competizioni, anche per la prossima stagione sportiva.

Si pone dunque ora la questione della sostenibilità di queste competizioni, sia in termini economici, sia nella prospettiva di una convivenza con il campionato domestico e le altre competizioni internazionali che sono in essere o di cui si sta parlando nei contesti europei, come ad esempio l’ipotesi di una coppa europea per club su cui si sta ragionando da qualche mese. Il rugby giocato dalle donne è in grande fermento, con continue modifiche al calendario e alle competizioni e noi, come sistema Paese, non possiamo perdere alcuna di queste opportunità, ma dobbiamo essere bravi a sfruttarle per dare alle nostre giocatrici tutte le possibilità di giocare ad alto livello, per poi riportare quanto maturato a livello internazionale anche nel contesto domestico, dall’allenamento quotidiano alle partite del campionato italiano. Queste esperienze delle giocatrici, ma anche degli staff, possono infatti avere un impatto molto positivo su tutto il movimento italiano e devono pertanto essere pienamente sostenute dalla Federazione e dai club coinvolti.

9. Come si intende gestire la formazione per i tecnici del settore femminile? World Rugby, IRFU e RFU stanno sviluppando percorsi specifici, si potrà farlo anche in Italia, magari valorizzando i tanti validi tecnici che da anni lavorano sul campo con le ragazze?

È nell’interesse di FIR lavorare per curare la formazione di tecniche e tecnici, oltre a preparatrici e preparatori, che lavorino con competenza a tutti i livelli, dal rugby di base all’alto livello. Ad oggi, il percorso formativo per l’area tecnica non prevede percorsi differenziati, ma è evidente che con squadre femminili è necessario prestare maggior attenzione agli aspetti comunicativi e relazionali, che possono, insieme alle competenze tecniche, fare la differenza nell’allenare le giocatrici rispetto ai giocatori. 

Vogliamo aumentare le opportunità formative lavorando su tutti questi aspetti, favorendo in particolare lo sviluppo di profili tecnici donne, proprio perché siamo convinti che la diversità, anche all’interno degli staff, sia un valore aggiunto. I tecnici che negli anni hanno sviluppato una maggior conoscenza dei contesti femminili sono una risorsa importante per tutto il movimento, ragione per cui delle esperienze di collaborazione sono già state proposte con il progetto delle franchigie, che ha visto il coinvolgimento di alcune figure tecniche dei club del territorio.

10. Marketing e comunicazione (specifici) sono due tasselli fondamentali per la crescita del movimento, come intende sviluppare questi due asset?

Nel corso degli ultimi anni a livello internazionale sul femminile si è spinto moltissimo, in Italia i presupposti culturali rendono ancora difficile per lo sport femminile e in particolare per uno sport come il rugby avere gli stessi numeri sia in termini di attrattività sia in termini di riscontro di pubblico tramite i media e i social, per cui abbiamo ampi margini di miglioramento e sicuramente marketing e comunicazione, su cui abbiamo avviato un percorso con una figura dedicata alla comunicazione del solo rugby femminile, diventano due asset strategici per consentire al movimento di diffondersi e di crescere. 

Come ho detto in apertura, ogni settore federale deve lavorare su un unico sistema, dove però esistono dei comparti con necessità specifiche a cui dobbiamo dare risposta e un’azione di marketing indirizzata al mondo femminile e delle strategie comunicative con lo stesso target sono oramai elementi essenziali per qualsiasi federazione moderna.

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