Elezioni FIR e rugby femminile, il punto di vista di Pancrazio Auteri
"Nessuno schema nuovo per affrontare e assecondare la crescita del movimento femminile"
Intervista a Pancrazio Auteri, promoter culturale siciliano.
1.
Già tre candidati ufficialmente in campo ( Innocenti, Poggiali, De
Anna) e almeno altri tre quasi pronti. Con quali occhi un uomo di
“propaganda” e “promozione” del rugby femminile, come
te, osserva queste manovre?
"Beh,
con un occhio un po’ disincantato, te lo confesso. Non vedo in giro
grandi novità. L’impostazione generale è sempre quella solita,
pur declinata in differenti proposte, ma resta del tutto
insufficiente l’attenzione per lo sviluppo di nuove opportunità
per il rugby femminile in Italia nei programmi di tutti i candidati
alle prossime presidenziali Fir. Lo constato a malincuore nonostante
un gran sbandierare vessilli rosa durante le competizione. A nessuno
in realtà, interessa l’autonomia piena come management dello sport
femminile, che viene sempre visto come una versione declinata di
quello maschile e non dotato di una sua tipicità. Oggi questo è un
grande errore strategico a mio avviso oltre che culturale. Ed è da
dire che non siamo ancora pronti in Italia. Questo tema è ancora
relegato ai margini di altri settori del nostro sport. Non viene
trattato nella sua complessità.
Il rugby femminile non viene messo
al centro di un disegno di sviluppo peculiare da nessun candidato. Ma
non per loro insensibilità propria, non confondo le persone con le
loro idee alternative. Piuttosto noto come persone e idee spesso sono
divergenti dalle applicazioni e questo per una base culturale estesa
e radicata nel tessuto sociale del nostro paese. Siamo ancora un
paese di “fascia tre” in questo senso, per quanto riguarda
le problematiche legate al ruolo delle donne. Nel diversi contesti
dirigenziali, produttivi, sociali e quindi anche sportivi l’Italia
è un paese maschilista e misogino, e i programmi legati allo
sviluppo del nostro rugby – come i programmi di tutte le
organizzazioni in genere aziendali e politiche ovviamente –
risentono di questo clima. Da questo punto non mi resta che
sollecitare una vera e non formale attenzione a questo settore
ponendolo sicuramente avanti ad altri ambiti che sono – in questo
momento – meno strategici.
La prima cosa che direi ai candidati
alla presidenza Fir - e allo stesso Presidente Gavazzi - per i
prossimi anni è di dimezzare e non mettere al centro di tutto i club
senior e i settori maschili. Ci sono categorie che interessano a
pochissimo poiché il rugby maschile – giocato sui campi e al
livello di quello che si vede nelle diverse regioni - non è uno
spettacolo molto attraente e ha pochissima presa sugli sponsor, sugli
spettatori, sulle comunità locali. Fa più male che bene, siamo
onesti. Organizziamo piuttosto tutto il rugby come un brand e
puntiamo sui punti strategici che hanno più forza e che sono
maggiormente sintonizzati con i nuovi settori della società. E il
femminile in questo è da traino.
2.
Il rugby femminile , in Italia, sta seguendo un trend
positivo sia per quanto attiene i risultati sportivi che il
numero delle praticanti e la Federazione sta supportando questa
crescita con molta passione e professionalità. La politica sportiva
(I candidati che fino ad ora sono scesi in campo almeno) ti sembra
dedichi sufficiente attenzione al problema?
Nessuno
ha mai regalato niente. Quello che fino ad oggi è stato fatto in
Italia nel rugby femminile è frutto del lavoro personale di poche
persone che hanno caparbiamente seguito una loro strada. Diciamolo
chiaramente. Da qualche anno la FIR ha cambiato mentalità –
e ha costretto a cambiare tanti suoi dirigenti locali che sono il
vero anello debole della catena di governance – perché con i
risultati alla mano e con un suo sviluppo autonomo di visibilità e
condivisione sui social il settore femminile del rugby ha preso una
dinamica di crescita inevitabile. Questo di riflette nei trend di
sviluppo di tutti gli sport femminili in Italia e in altri paesi.
Paesi anche insospettabili - vedi la Persia ad esempio - dove il
rugby femminile è diffusissimo e non viene per nulla ostacolato
dalle autorità. O l’Africa, e l’Oriente con le grandi
organizzazioni transnazionali attive nelle scuole e nei piccoli
villaggi. Ovunque il Femminile cresce e non considerare questo
equivale a stare fuori dalla storia.
La Fir in questi anni è stata
quindi “ cambiata “ dall’interno e le opportunità che offre
elabora alle ragazzine e ai club femminili sono tante. Offre un
ventaglio di possibilità molto ampio alle ragazzine che iniziano e
che poi decidono di proseguire ( vedi le categorie 14 e 16 giocate a
7 ). Il rugby femminile è un gioco che ha molta presa nelle
scuole e che oggi è giunto alla sua seconda generazione. Se
all’inizio le ragazze iniziavano a giocare a rugby per via di
fidanzati o fratelli che le portavano al campo, oggi avviene per
imitazione delle compagne più grandi e della pubblicità che nelle
scuole è prodotta dai vari club. E’ un segno di maturità.
Ecco
quel che serve a tutti i vari programmi elettorali (e alla Fir come
potenziamento degli attuali) è puntare sul coinvolgimento dei club.
Sono loro il vero ago della bilancia ed è sicuramente loro la
responsabilità prima delle difficoltà che il femminile incontra
oggi. In più della metà dei club italiani delle donne che
giocano a rugby non interessa niente a nessuno. Sono anche
osteggiate dalle dirigenze maschio centriche che vedono le senior com
il centro dell’universo e degli introiti possibili. Ecco. Non è
tanto importante la parte economica, la politica dei
presidenti Fir (non cambierà molto Gavazzi o non Gavazzi) quanto
piuttosto la mentalità da cambiare nei club. Il rugby è fatto
di lavoro quotidiano e di rapporto con i territori. In Italia ancora
c’è molto maschilismo in questo. Lo sport, il rugby, non sono casi
diversi da tutti i settori, nel lavoro, nella ricerca, nella
dirigenza delle imprese. In questo siamo un paese molto arretrato.
3.
Cavalcare l’onda vincente è uno sport molto praticato dalla
“politica”, eppure il Rugby Femminile che, senza alcun
dubbio, è un asset vincente della FIR trova pochissimo spazio, sembra che a nessuno interessino i successi di Barattin e compagne.
Siamo ancora uno sport maschilista?
Ti
dicevo sopra. E ti ribadisco ancora il concetto. Quello che deve
cambiare per avere un rapporto “intelligente”, strategico e
lungimirante con un canale empatico come quello del rapporto tra
sport femminile e società (leggi sponsor e attrazione verso le
famiglie e il mondo della scuola ) è inevitabilmente quello che
passa dal mondo femminile. Non siamo uno sport maschilista siamo
maschilisti noi come popolo, maschilisti di sicuro. Il nostro
rapporto con lo sport è una ricaduta di questo. Quando ancora vedo
certi imbecilli che nel rugby riconducono tutto a birra, sportellate,
asfaltare l’avversario, sangue e muscoli e prove di virilità mi
cadono le braccia. Cerchiamo ancora di imitare modelli che non sono i
nostri invece di inventarne di nuovi.
Te lo confesso. Questo rugby in
Italia non piace a nessuno che non sia fuori dal nostro mondo o
almeno piace sempre meno. E’ considerato uno sport da fanatici e
convinti. Ecco, le ragazze, con la loro normalità (pur facendo delle
cose straordinarie) possono e devono essere il legame che ci lega ad
una Italia che è cambiata. Cambiamento del quale solo il mondo del
rugby non si è accorto.
4.
A cosa dovrebbero e potrebbero servire le
prossime elezioni federali in funzione di un ulteriore sviluppo e
crescita del movimento femminile, soprattutto in relazione al fatto
che si fatica meno a far giocare le bambine che
i bambini al minirugby?
Le
prossime elezioni federali, per me, saranno un test importantissimo
per una cosa: sanciranno quanto i club decideranno di prendere in
mano il loro destino, la loro passione e il concetto di essere uno
sport di nicchia e non professionistico. E’ la vera occasione
da non lasciarsi scappare in questo frangente. Fare pulizia del
superfluo e puntare sui settori che servono davvero a far ripartire
il rugby italiano. Buona parte dei club italiani ama la sudditanza di
vivere aspettando soldi dall’altro. E’ una mentalità
assistenzialista che va debellata. Tanti dirigenti cercano di fare
carriera politica per mettersi le braghe al caldo. Molti vedono il
rugby per far carriere politica. Tutto qui. Va bene a tutti quelli
che son dentro, non va bene a tutti coloro che non beneficiano di
questa coperta economica. E’ qui, il punto. Una lotta fra
castellani e plebe.
Ecco. Penso che sia ora che avvenga una
ridistribuzione di risorse. Ma non in base alla stupida idea italiana
di lignaggio o tradizione quanto di progetti e di programmi. Per
l’ultima tua affermazione: non è vero che è più difficile far
giocare le bambine piuttosto che i bambini a rugby. Le ragazzine
sono più curiose, entusiaste e motivate e sanno che quando
iniziano lo faranno per sempre, sia in campo che dopo. I maschietti
invece vivono una pressione che si manifesta subito. Dopo la
propaganda quando servono a fare numero per le società, se a
quattordici, sedici anni non riescono a tenere il passo vengono
eliminati. Ecco creare delle filiere più semplici e umili, con delle
modalità di presentazione del nostro gioco più immediate verso la
gente. Magari, anche a livello dirigenziale e strategico, non
sarebbe forse ora di ascoltare di più le donne manager?
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