Quando l’Azzurro divenne poesia: Italia v USA alla Rugby World Cup 2022
Nel cuore di Whangārei, in Nuova Zelanda, quando l’orologio segnava le 4:45 del pomeriggio — ora locale — e una leggera brezza oceanica si insinuava tra gli spalti, la storia scelse di indossare una maglia Azzurra. sulle spalle. Il sole si piegava all’orizzonte, in quel modo che solo l’oceano sa suggerire e il Northland Events Centre, un’arena che quel giorno smise di essere solo cemento e gradinate, si incontrano due squadre che non si conoscono. Squadre che raccontano storie molto diverse: Italia e USA. L’arbitro è Hollie Davidson, una presenza magnetica. Precisa ed elegante. Sa esattamente quando parlare e quando il silenzio è abbastanza per rimettere le giocatrici al proprio posto.
Stati Uniti contro Italia. Due filosofie diverse. Due tradizioni che non si erano mai guardate davvero negli occhi, ma quel sabato pomeriggio, le protagoniste erano pronte. Trenta giocatrici, e non una di loro si sarebbe tirata indietro. Le americane, forti di una struttura atletica poderosa, scendono in campo con il peso della storia: campionesse nel 1991, radici profonde, sistema universitario rodato. Le italiane, invece, portavano con sé l’eleganza di chi ha imparato a danzare anche sotto la pioggia. Nella valigia del rugby azzurro ci sono sogni e determinazione, la fragranza di un rugby che non fa rumore ma colpisce il cuore. Maglie azzurre, sguardi intensi, orgoglio che non si misura in punti ma in placcaggi e ripartenze.
Quel match fu più di una partita. Fu tensione, fu improvvisazione. Fu un fraseggio continuo tra potenza e intuizione. L’Italia partì con ambizione, ma le americane risposero con la forza bruta della mischia. Il punteggio si aprì e si chiuse, ma non è nei numeri che si può leggere la storia. Era nelle corse di Beatrice Rigoni, nei placcaggi di Sara Tounesi, nei silenzi fra una mischia e l'altra. Era nel respiro collettivo di una squadra che non smette mai di crederci, che la storia scrisse le sue pagine più belle.
Al 4’ l’Italia perde Ilaria Arrighetti, flanker dal cuore granitico. È un colpo durissimo. La sostituisce Francesca Sgorbini, giovane ma già pronta a scrivere la sua parte di storia. Al 5’, le americane vanno in meta con Hallie Taufoou. 5-0. Il pubblico applaude, ma il silenzio azzurro parla di qualcosa che ancora non è iniziato.
L’Italia comincia a difendere come se ogni placcaggio fosse una promessa. Le americane dominano il possesso, ma non sfondano. E poi — come nei grandi film — arriva il controcampo. Al 39’, dalle mani sapienti di Michela Sillari, tra le migliori giocatrici del mondo, parte un’azione che si allarga come un sipario. Vittoria Ostuni Minuzzi buca la linea e segna. Sillari converte. Italia 7 - USA 5. Fine primo tempo. L’azzurro riprende fiato. E sogna.
Al 50’ diventa protagonista Aura Muzzo, ala rapida e letale. La sua prima meta è luce. La seconda, al 57' minuto, arriva mentre l’Italia è in 14 per il giallo a Ostuni Minuzzi. E proprio questo — segnare con l’inferiorità numerica — fa vibrare il cuore della Azzurre e mette il segno alla partita. Maria Magatti al 70' fa il resto. Scappa, rompe il campo e segna la meta del bonus. È l’Italia che corre in avanti, con la sua storia appesa alle spalle come un mantello.
E alla fine, sul tabellone, il verdetto è chiaro 22-10 per l'Italia. Ma nella narrazione, quella che si racconta davanti al caminetto quando le maglie sono stese ad asciugare e le ginocchia ricordano i lividi delle battaglie passate, si può affermare con sicurezza che l’Italia uscì da quella partita con più che una vittoria, quella era una pagina di storia da tramandare.
La capitana Elisa Giordano stremata a fine partita dice solamente: "Vorrei solo ringraziare la mia squadra per la prestazione e il duro lavoro. Da qui costruiremo." E quella frase, detta con voce rotta dalla gioia, sembra scolpita nel marmo di una memoria collettiva. Quel giorno, l’Italia non ha solo vinto una partita. Ha preso il rugby femminile, lo ha stretto forte, e ha sussurrato al mondo: anche noi, sui campi da rugby, sappiamo scrivere poesia.
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