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RWC Parigi 2014: Magaly Harvey, il Canada e il 2°posto più bello della storia

Agosto. Parigi. La luce che filtra tra gli spalti dello Stade Jean-Bouin ha il colore dei sogni. Di quelli che sembrano troppo grandi per chi viene da lontano. Ma a volte, il rugby non è solo sport. È memoria. È sfida. È coraggio. E nel 2014, una squadra canadese venuta dall’altra parte dell’oceano decise che non avrebbe fatto da comparsa. Avrebbe cambiato la sceneggiatura.

9 agosto. Il Canada affronta l’Inghilterra nella seconda partita del girone. Non c’è tensione, ma rispetto. Le inglesi sono favorite, forti fisicamente, tecnicamente ordinate. Le canadesi, invece, arrivano con fame, grinta, e con un talento che pochi conoscono: Magali Harvey, ala dal passo imprevedibile e dalla precisione chirurgica nei calci. La partita è un equilibrio perfetto. Il campo sembra una scacchiera, ogni possesso una dichiarazione di identità. Finisce 13-13. Un pareggio, sulla carta, senza clamore. Ma dietro quelle cifre si nasconde una rivoluzione: la Nuova Zelanda, campionessa del mondo da quattro edizioni, è fuori. Il Canada, in punta di piedi, entra nel pantheon del rugby mondiale: “quel giorno, il Dio del rugby si rese conto che le protagoniste non erano più scritte. Si sceglievano sul campo.”

13 agosto. La semifinale contro la Francia è più di una partita. È uno scontro di identità. La Francia gioca in casa, davanti al proprio pubblico, in uno Stade Jean-Bouin esplosivo. Il palcoscenico è incandescente, il pubblico francese una sinfonia impetuosa. Ma Harvey ama il rumore, lo attraversa senza paura. Il Canada entra nel campo con i nervi saldi e gli occhi fieri. La partita è ruvida, ogni placcaggio vibra nell’aria. Ma è al 63º minuto che accade qualcosa destinato a entrare nella mitologia del rugby femminile. Magali Harvey riceve palla nella sua metà campo. Per un attimo, il mondo si ferma. Poi parte. Un’accelerazione, un serpente tra le maglie bluCome se avesse il vento alle spalle, salta un’avversaria, poi un’altra. Si allunga, accelera, taglia il campo. L’erba sotto di lei non la ostacola: la accompagna. Il pubblico, prima rumoroso, diventa improvvisamente silenzioso. Poi esplode. È meta. Leggenda. Quell’azione diventa immortale, la fotografia eterna di un torneo ribelle. Il Canada vince 18-16. È in finale. Parigi è sgomenta. L’impossibile è accaduto. E Harvey diventa il volto, il simbolo e la voce di un sogno.

17 agosto. La finale contro l’Inghilterra è un déjà vu. Le inglesi hanno imparato dalla partita del girone. Sanno che il Canada non è più una sorpresa. Sanno che Harvey non è solo una freccia, ma un intero arsenale. La partita è dura. Harvey segna tre calci piazzati, tutti i punti del Canada. Nove. Ma l’Inghilterra è implacabile. Emily Scarratt guida la sua squadra con freddezza e controllo. Finisce 21-9. Il Canada perde la finale, ma conquista qualcosa di più duraturo: il rispetto, l’ammirazione, l’immortalità sportiva. Le canadesi non hanno perso, hanno dimostrato che il rugby, anche quello femminile, sa essere romanticismo. Sa essere rivoluzione.

Harvey ha portato il Canada dove nessuno l’aveva mai visto prima: in finale mondiale. E lo ha fatto senza clamore, ma con classe. Ha dimostrato che anche nel rugby, lo spettacolo può essere poesia. Il Canada non ha alzato la coppa. Ma ha alzato il livello. Ha mostrato al mondo che anche una nazione senza tradizione o storia secolare può competere. Può incantare. Può cambiare le percezioni. Quel 2014, a Parigi, il rugby femminile non fu solo competizione. Fu racconto. Fu emozione. Fu letteratura. E Magali Harvey ne fu la penna, il tono e il respiro.


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