Breaking News

Tra pompieri e Coppa del Mondo rinviata: quel professionismo che non possiamo più rimandare

Vi chiederete cosa c'entrano i pompieri con la Coppa Del Mondo. In realtà molto più di quello che pensate, perché la riflessione che oggi metto "virtualmente" su carta nasce proprio dal messaggio di Jade Konkel, una delle star del rugby mondiale, che in questi giorni ha deciso di mettere in pausa il rugby a tempo indeterminato, per intraprendere la carriera di vigile del fuoco con la London Fire Brigade. 

Konkel oltre ad essere una vera icona del rugby scozzese, in teoria è una rugbista professionista, in forza alla squadre delle Harlequins con la quale disputa la Premiership inglese e co-stipendiata dalla SRU. Questo professionismo però è molto teorico, perchè se è vero che la forte 3a linea scozzese viene pagata per giocare (un gettone di 100 £ a partita più vari bonus) è vero anche che questo stipendio le permette a malapena di vivere oggi, non le da nessuna garanzia per il futuro, quel futuro che deve essere costruito, magari indossando la divisa da vigile del fuoco, anche se questo comporta l'abbandono del rugby o il veder svanire il sogno di una vita: partecipare alla Coppa Del Mondo.

Come la tessera immaginaria di un domino, che cade facendone cadere un'altra, il mio pensiero scivola al 6 Nazioni. Se lo spostamento della finestra temporale del torneo femminile può essere visto come un'opportunità, lo stravolgimento del formato (ufficialmente per poter poi giocare le qualificazioni alla Coppa Del Mondo e per via dell'emergenza Covid), ci pone di fronte ad un quesito inevitabile: "perchè l'edizione maschile non ha subito nessuno stravolgimento? La risposta è semplice, gli uomini sono professionisti, vengono pagati (bene) per giocare e si possono permettere bolle, quarantene, tamponi e via dicendo... Le donne no." 

Le giocatrici del rugby lavorano ed in molti casi per disputare il torneo e le manifestazioni internazionali devono "ancora" prendersi le ferie. Non è lontano il caso di un'azzurra che per disputare la Coppa Del Mondo nel 2017 in Irlanda dovette licenziarsi. 
Sono intervenuti in molti sulla questione, ma tra i vari distinguo e le frasi di circostanza le uniche a prendere una posizione netta sono state le giocatrici (e nemmeno tutte). In Irlanda e Galles si è creato un movimento coeso e sempre più forte che chiede a gran voce un cambiamento, con la campagna "Time To Turning Pro" mentre in Italia siamo lontani anche da una presa di posizione concettuale. 

L'ultima a prendere parola in questi giorni, è stata l'ex estremo della nazionale gallese Dyddgu Hywel che, in un'intervista alla BBC Radio Wales, ha detto senza mezzi termini che il rugby internazionale femminile viene trattato da World Rugby e dalle federazioni in modo ineguale rispetto a quello maschile e che questa diseguaglianza si è ampliata durante la pandemia di Covid-19. La Coppa del Mondo 2021 in Nuova Zelanda sarà posticipata al 2022 su raccomandazione di World Rugby. Il 6 Nazioni femminile è stato posticipato fino alla primavera, mentre l'evento maschile è andato avanti come da programma.

Hywel ha detto a BBC Radio Wales: "Quello che è veramente deludente secondo me è il raffronto con quanto riservato agli uomini lo scorso autunno rispetto alle donne: da una parte la Autumm Cup dall'altra un 6 Nazioni incompleto. Quest'anno il 6 Nazioni c'è ed è comunque un'ottima notizia, ma perché il torneo femminile è stato trattato in modo diverso, riducendo le partite? Stiamo ancora parlando di uguaglianza nello sport ed è il 2021. Non dovremmo più avere questa conversazione e credetemi capisco veramente la situazione del Covid, ma dovrebbe essere lo stesso per tutti. È un po' deludente. Sono i soldi? Budget, finanze - chissà? Ma secondo me dovrebbero essere trattati allo stesso modo!"

La recente posticipazione della Coppa Del Mondo femminile è servita a riaccendere i riflettori su una delle tante ingiustizie di genere dello sport: il fatto che atlete che dedicano la propria vita allo sport non hanno le stesse tutele giuridiche e di welfare dei loro colleghi maschi, perché non accedono allo status di professioniste sportive nonostante lo sport sia il loro lavoro. Nelle interviste ai prossimi candidati alla presidenza della FIR, le dichiarazioni a favore del professionismo delle azzurre (che dovrebbe essere il primo passo e non il punto d'arrivo) si sono sprecate, perché parlarne fa molto “politicamente corretto”. Ma come spesso accade nella politica, alle dichiarazioni non sembra possano far seguito fatti concreti nell'immediato futuro. 

Lo sport è un’attività economica e non si può sganciare il sacrosanto allargamento delle tutele da un piano complessivo per raggiungere gradualmente la sostenibilità economica. Nel mondo del rugby femminile (ma non solo nel nostro paese), dobbiamo fare i conti con la realtà che al massimo si presenta come ibrido (Inghilterra ed in misura minore Francia), con poche tutele e senza reali garanzie per il futuro delle atlete, con società che nel rugby femminile investono il minimo indispensabile pur facendosi carico di tutte le difficoltà economiche e organizzative che ne derivano. Un sistema fragile, a cui mancano ancora troppi tasselli per raggiungere i livelli di altre realtà europee e che non potrà reggere l’urto della realtà post pandemia, se non si doterà in tempi brevi di basi solide.

Per questo è il momento di pensare e agire in grande: affrontando l’emergenza e rilanciando, nello stesso tempo, il passaggio al professionismo. È un percorso che non serve solo a dare sacrosanti (e non più rinviabili) diritti alle rugbiste, ma a migliorare gli impianti in cui si gioca, a dotarsi di strutture medico-sanitarie all’altezza, a investire in politiche di promozione del comparto, a professionalizzare tutti quelli che vi lavorano. Un percorso che però va costruito già oggi, con idee chiare e risorse certe. Il tempo che ci siamo presi con il rinvio della Coppa Del Mondo è un’occasione che non possiamo sprecare. Onde evitare un amaro risveglio, dal torpore in cui il nostro movimento langue.



Nessun commento