Il 2023 sarà l'anno della Champions Cup femminile?
Durante le feste c'è sempre meno rugby giocato rispetto al solito, così c'è tempo di farsi qualche domanda interessante ed esprimere i desiderata ovali per l'anno che arriverà.
Casualmente la domanda che ci poniamo spesso da queste parti è la stessa che si pongono ultimamente anche in Francia ed Inghilterra, ovvero "perché non c'è la Champions Cup femminile?". Se ne parla dal 1996, anno di nascita della Coppa dei Campioni ovale maschile, ma nonostante siano passati più di 10 anni e che ci sia stato un grandissimo sviluppo del movimento femminile (dentro e fuori dal campo) ancora non c'è una controparte femminile del torneo.
Il Big Game tra Harlequins and Leinster a Twickenham il 28/12/2019. (Photo by Paul Harding/Getty Images for Harlequins) |
Calcio, basket, pallamano, pallavolo, i principali sport di squadra hanno tutti diritto alla loro competizione europea femminile. Tutti tranne uno: il rugby. In Francia in questi giorni sulla questione è stata intervistata Brigitte Jugla, ex giocatrice, vicepresidente della Federazione francese (FFR) e responsabile del rugby femminile. La domanda che le hanno fatto è questa: "Le rugbiste francesi hanno brillato alle Olimpiadi di Tokyo riportando una medaglia d'argento , nel rugby 7, durante il tour autunnale, le Bleues hanno sconfitto nettamente le campionesse neozelandesi, il rugby francese è in pieno sviluppo. Allora perché le nostre rugbiste non hanno (ancora) una Coppa dei Campioni o una Sfida Europea in cui cimentarsi a livello di club?"
La domanda è la stessa che abbiamo fatto tempo fa alla nostra consigliera federale Francesca Gallina, che è recentemente diventata membro di Rugby Europe, con il compito di curare lo sviluppo del rugby femminile in Europa, senza allora ricevere risposta, visto il pochissimo tempo dall'insediamento, ma con la promessa di trattare di nuovo in futuro l'argomento. Nel suo intervento Brigitte Jugla ha svelato dettagli piuttosto interessanti ed anche quali sono le federazioni interessate al progetto, tra le quali almeno per il momento, purtroppo, non figura quella italiana. Ma andiamo con ordine.
Il puzzle del calendario
Da quello che sappiamo, il progetto è in discussione all'European Professional Club Rugby (EPCR), l'organo di governo delle coppe europee, che la scorsa primavera ha sollecitato le varie federazioni nazionali: "Ci hanno detto che sono molto desiderosi di creare una Champions Cup femminile. In particolare hanno parlato con Inghilterra, Scozia e Galles e Francia per capire se erano interessate e si è scoperto che lo erano tutte moltissimo", spiega Brigitte Jugla. "In seguito probabilmente saranno sentite anche Italia, Irlanda e probabilmente Spagna, che però per ora non hanno fatto sapere nulla in proposito. È ancora molto difficile prevedere qualcosa, dobbiamo in particolare determinare in quali finestre temporali potrebbe svolgersi, ma l'idea è di arrivare a qualcosa di definitivo per il 2022-2023."
Quella del 2023 è certamente una data che consentirebbe ad ogni federazione, di organizzare il proprio futuro calendario nazionale, uniformando le proprie date. "Anche World Rugby è in fase di riflessione. L'obiettivo sarà quello di abbinare al meglio le competizioni nazionali di ciascuno, in base alle competizioni internazionali e cercare di trovare una formula che vada bene a tutti" , aggiunge Jugla. In modo incoraggiante, si sta già lavorando per uniformare il calendario francese a quello inglese.
Competitività: un gruppo molto ristretto di concorrenti
Questo è forse attualmente il problema più complesso da risolvere: la futura Champions Cup non può accontentarsi di una battaglia tra club francesi e club inglesi. Affinchè il torneo possa davvero prendere vita sarà necessario che i club delle altre federazioni si avvicinino rapidamente allo standard inglese e francese. Uno dei freni più grossi alla realizzazione di questo progetto ad oggi resta il livello eterogeneo del rugby femminile in Europa: "Ci sono grandi nazioni in Europa, con grandi squadre nei campionati nazionali, ma il problema è che sono molto poche (come nel caso dell'Italia, dove sono solo due i club a contendersi il titolo con una bassa competitività nel campionato nazionale, nda). I titoli, le finali ruotano sempre intorno alle stesse squadre. A livello internazionale,questo si ripercuote nel Sei Nazioni, dove è netto il gap tra Inghilterra, Francia e le altre squadre, principalmente perchè nelle altre quattro nazioni non c'è nessun investimento nei tornei nazionali".
In tutta onestà anche nella Elite 1 francese, il campionato non è certo più aperto. Se il primato del Montpellier è stato interrotto lo scorso anno (l'ASM Romagnat ha vinto il titolo nel 2021 dopo tre titoli consecutivi all'Hérault), è necessario ricordare che Safi N'Diaye e compagne hanno vinto 6 delle ultime 10 edizioni e nelle ultime stagioni sono sempre le solite quattro/cinque squadre ad arrivare alle semifinali con Blagnac, Stade Toulousain e Montpellier che ci riescono sempre. Tuttavia, è evidente in Francia, come in Inghilterra che il gap si sta colmando per i club che investono.
La salute delle giocatrici: una questione da non sottovalutare
Se vogliamo parlare di un torneo internazionale tra club, non possiamo certo dimenticare che nella migliore delle ipotesi il rugby femminile è semiprofessionistico. Tra le tante cose che mancano rispetto alla loro controparte maschile c'è quella pletora di personale che lavora per negoziare i contratti e gestire l'utilizzo delle giocatrici nelle varie competizioni. Le giocatrici dei club potenzialmente interessati a una futura Champions Cup sono spesso già particolarmente richieste: "alcune giocano nelle nazionali di rugby a 15s o con la nazionale 7s, oltre che in campionato. Bisogna stare molto attenti alla salute delle atlete, non si può certo far giocare loro un numero troppo elevato di partite, considerando che molte di loro lavorano anche. Inoltre mancano i numeri. Nelle squadre femminili oggi non ci sono grandi rose, o almeno non c'è un numero di giocatrici sufficienti per rispondere alla necissità di rotazione richiesta dalla moltiplicazione delle partite", avverte la vicepresidentessa.
L'obiettivo è sicuramente quello di evitare un altro caso simile a quello dell'AS Bayonne. La motivazione che ha portato le giocatrici fino allo sciopero (che è costato poi il rititro della squadra), dopo aver scritto una lettera aperta alla società, è stata proprio quella di non avere una rosa abbastanza numerosa per allenarsi adeguatamente e questo ha portato ad una serie di sconfitte disastrose con più di 100 punti di scarto a partita ed a molti infortuni piuttosto seri.
"In Francia c'è stato un aumento del 45% delle giocatrici in pochi anni, ma non ci si può ancora nemmeno paragonare alla pallamano dove ci sono 158.000 tesserate attive. Noi ne abbiamo circa 38.000. Innanzitutto bisogna porre una base consistente perché tutto diventi sostenibile. In altri paesi ad esempio il paragone con il calcio femminile è impietoso (in Italia ci sono 31.390 calciatrici attive contro circa 8000 rugbiste, nda)".
Il Covid-19 ovviamente non aiuta, nella migliore delle ipotesi il numero delle tesserate è stato mantenuto, ma in molti casi abbiamo assistito ad un consistente numero di abbandoni (in Italia voci ufficiose parlano di un calo di oltre il 30% del numero di giocatrici attive, nda), una situazione alla quale la varie federazioni dovranno porre rapidamente rimedio. In Francia nel 2021 sono state perse 4.500 ragazze, un danno enorme, tanto che la FFR ha commissionato uno studio per capire perché e come questo è accaduto e trovare una soluzione. Nel 2021, considerando le sei partecipanti al Sei Nazioni la bilancia è in deficit di oltre 900 giocatrici attive.
L'importanza del doppio progetto
In Francia ed Inghilterra hanno capito la necessità di sviluppare ulteriormente il proprio campionato nazionale consentendo allo stesso tempo alla sua élite di evolversi ai massimi livelli. Una cosa non funziona senza l'altra. "Abbiamo tante cose da imparare, il rugby femminile oggi si costruisce senza guardare a quello che fanno gli uomini. Per le squadre francesi stiamo ancora pensando a come organizzare al meglio il tempo per il progetto socio-professionale e la carriera da rugbista di una donna. Quanto tempo dedicare allo studio o al lavoro e alla famiglia? E' sostenibile che sia rugby al 100% per le donne?" si chiede Jugla.
E' chiaro che a breve dovrà poi anche essere analizzata la questione dei contratti federali, (sinonimo di retribuzione), perchè è impensabile che le giocatrici impegnate in un torneo continentale europeo, possano rimanere dilettanti, o anche semiprofessioniste. Come vedete le questioni sono tante, ma affrontarle consentirebbe al rugby femminile di darsi i mezzi per avvicinarsi un po' di più alla vetta del suo mondo. Se guardiamo a tutto quello che è successo in proposito nel mondo del rugby femminile nel 2021 partendo da Bayonne, passando per il Galles e finendo in Irlanda, siamo certi di poter dire che la questione non è più procrastinabile.
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