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2012 - 2022: dieci anni di Ladies Rugby Club

Il 2012, sembra giusto ieri, un rimbalzo del nostro amato pallone ovale ed eccoci qui, 10 anni dopo. Era esattamente il 2 gennaio del 2012, quando ho deciso di aprire questo blog e sebbene siano passati 10 anni, è facile ricordare quanto fosse diverso il rugby femminile allora rispetto a oggi.


Abbiamo visto accadere davvero tante cose, siamo passati dal Pay-to-play con giocatrici selezionate per le squadre nazionali che si dovevano autofinanziare per partecipare ai grandi tornei internazionali, a giocatrici che adesso sono sotto contratto con le loro federazioni e ricevono almeno dei rimborsi spese. Ancora troppo poche, è vero, ma rispetto a 10 anni fa, è già moltissimo. Ovviamente la ragione principale di ciò era che il rugby femminile era uno sport amatoriale e lo è ancora, ovviamente, in gran parte, ma se volevi essere pagata per giocare dieci anni fa, l'unica opportunità che avevi quando questo blog è stato avviato era quella di trovare un passaporto olandese e partecipare a quel grande esperimento che fu il 7s dei Paesi Bassi, messo in piedi per provare a qualificarsi per le Olimpiadi 2016. All'epoca sembrava notevole, molto coraggioso e almeno inizialmente di grande successo, spingendo le altre nazioni gradualmente a fare la stessa cosa. Un modo fondamentale in cui il gioco è cambiato è stato il mix tra rugby a 15s e rugby 7s. 

Negli ultimi anni ci sono stati moltissimi test match, mentre il numero di nazioni nel ranking è cresciuto a 61, ma nel complesso - in cifre - il rugby è più o meno dove era 10 anni fa. Una delle principali differenze tra oggi e dieci anni fa è che la partecipazione a tutti i livelli è esplosa. Le statistiche di World Rugby su questo possono non essere esaustive, ma basta dare uno sguardo al numero di squadre femminili che giocano a tutti i livelli per comprendere quanto sia cresciuto il gioco.

Le statistiche che abbiamo suggeriscono che nel 2012 c'erano poco più di 50.000 giocatrici adulte registrate in tutto il mondo. Nel 2021 (secondo gli ultimi dati) questo numero è stato ampiamente raddoppiato. Dieci anni fa il rugby femminile era un'aggiunta poco considerata al gioco mondiale. Oggi ne è il principale, se non l'unico, motore di crescita. Ed è qui che ci sono stati i grandi cambiamenti. Gli sponsor si stanno inserendo dove prima erano un sogno lontano e stanno contribuendo a far progredire il gioco femminile. 

Anche i media si sono accorti del rugby femminile. Quando mi recai a Londra per seguire la Coppa del Mondo 2010, nessuno in Italia parlò di questo grande evento, ed i post scritti allora per un blog sportivo generalista, furono pubblicati solo in piccola parte ed ebbero un numero esiguo di lettori. Anni dopo fu proprio quell’esperienza a spingermi, nel mio piccolo, a creare un luogo virtuale dove potetr raccontare il rugby femminile, quello dei grandi eventi internazionali, ma anche delle piccole squadre della provincia italiana, che allora come oggi facevano grandi sacrifici per andare avanti e permettere alla ragazze di giocare. Non c’erano partite da guardare allora e nessun blog parlava di rugby femminile, oggi le partite vengono trasmesse in TV, lo streaming ci permette di seguire addirittura i campionati esteri, tanti sono i portali che si occupano del rugby in rosa (e lo fanno con altri mezzi e certamente meglio di me). Mi piace pensare di essere quello che ha aperto la porta e che forse proprio per questo si è guadagnato un posticino nella stanza dei grandi, dove si racconta, si studia, si analizza e si discute il rugby in tutte le sue sfaccettature.

Allo stesso modo, in cui è cambiato il modo di raccontare è cresciuto il pubblico fino a numeri allora inconcepibili. Ricordo i primi Sei Nazioni delle Azzurre, con poche decine di persone sugli spalti, quante volte ho partecipato ai terzi tempi (Mira, Recco, La Spezia, Parabiago), spesso omaggiato con maglie e tanto altro solo per il fatto di essere li, una sorta di premio, alla partecipazione ed alla passione, o forse solo all’incoscienza di macinare km su km  in giro per l'Italia per andare a raccontare quanto fossero forti quelle ragazze e che bel rugby giocavano, anche se ci credevano in pochi. Oggi (con un po’ di rammarico in effetti) questo non è più possibile, sugli spalti ci sono migliaia di persone, le giocatrici le conoscono tutti ed i terzi tempi sono eventi spesso di grande qualità. Allora io continuo a confondermi tra la folla e a raccontare, in fondo è bello anche così.

E c'è molto di più in arrivo. Il gioco si sta lentamente trasformando da amatoriale a semi-professionista, e nel caso dell'Inghilterra quasi completamente professionale, un microcosmo sta già emergendo con la Premier 15 inglese, che è diventata il faro di quello a cui le ragazze aspirano, dove ci sono squadre che investono ed hanno soldi per attirare giocatrici da tutto il mondo e che sono sempre più avanti rispetto a quelle puramente amatoriali. Chissà se nei prossimi 10 anni ci arriveremo anche qui da noi.

Mi sono divertito un sacco in questi 10 anni. Certo gli ultimi due non sono stati facili. La pandemia è stata un placcaggio durissimo, capace di azzerare il gioco delle ragazze per tento (troppo) tempo. Devo ringraziare le Azzurre, che sono andate in campo regalandoci, nonostante tutto grandi prestazioni ed incredibili emozioni tra Sei Nazioni e qualificazione al mondiale, grazie a loro sono rimasto attaccato a questo mondo, alle storie da raccontare, ai personaggi. Le cicatrici sono rimaste, abbiamo perso tante ragazze ed è anche per questo che credo che sia importante continuare a raccontare ed a raccontarsi.

Grazie per aver avuto la voglia di leggermi e la pazienza di sopportarmi in tutti questi anni, immagino di “bischerate” come si dice dalle mie parti, di averne dette tante, di aver dimenticato qualcuno o qualcuna, di aver rotto le scatole con le mie fissazioni. Grazie per essere rimasti a farmi compagnia quando il campo era vuoto. Spero di aver fatto un lavoro accettabile. Sono successe così tante cose in 10 anni ma c'è molto di più davanti a noi. Tra dieci anni spero di essere ancora qui a raccontarvelo. 

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